La storia

Omicidi savonesi: delitto in macelleria nella città della Torretta

Roberto Nicolick racconta la storia dell'omicidio di Angelina Torcello, uccisa dal marito Lazzaro Piccone

coltello
Foto d'archivio

Savona. Nuova puntata con le “storie di sangue” della nostra provincia: questa volta Robert Nicolick racconta la triste vicenda di una moglie uccisa dal marito.

Da una macelleria in Via Pietro Giuria, nel centro di Savona, Angelina Torcello una giovane donna di 32 anni, ne esce trasportata a braccia dal marito, sino all’Ospedale San Paolo che dista pochi minuti a piedi, la donna perde vistosamente sangue da una ferita che pare essere stata prodotta da un coltello molto affilato. Il marito si chiama Lazzaro Piccone, 40 anni, di professione macellaio.

La donna arriva presso il pronto soccorso ma purtroppo l’emorragia è troppo vasta e in corso da troppo tempo, lei riesce a mormorare “muoio” e poi spira completamente dissanguata. Il marito assiste alla morte della donna mostrando freddezza e distacco. La versione del marito sulla morte della poveretta è questa: la donna che lavora con lui in un esercizio di macelleria, si sarebbe prodotto la ferita mortale alla arteria femorale, passando accanto ad un coltello la cui lama sporge dal bancone. A confermare questa versione, abbastanza strana, contribuirono anche la madre del Lazzaro, suo fratello, la moglie del fratello e la nipote.

Tuttavia a parte la dinamica del fatto che appare molto improbabile, all’interno del mercato dove la coppia vendeva carni, era noto l’atteggiamento del Lazzaro nei confronti della moglie, molto imperioso e spesso violento. La moglie che aveva sposato Lazzaro una quindicina di anni prima, era di carattere timido e remissivo, facilmente suggestionabile dal marito che all’opposto era iracondo e aggressivo. Era noto anche il fatto che in molte occasioni, per un nonnulla, l’uomo aveva picchiato l’Angela e anche i parenti del marito la maltrattavano indicandola come una poltrona e una donna sporca, cosa assolutamente non vera. C’è comunque un testimone che smentisce la versione dell’incidente data dal marito e dai suoi parenti: il figlio Serafino di anni 13.

Il ragazzino racconta che era appena uscito da retrobottega per prendere un pezzo di castrato, mentre era a compiere questa incombenza, sente delle urla provenire da retro, ci ritorna subito e vede questa scena, la madre disperata con una vasta ferita alla gamba sinistra, da cui scorga a zampillo un fiotto di sangue, il padre accanto alla donna con le mani lorde di sangue e a terra un coltello con la lama insanguinata. In seguito a questa testimonianza la Polizia arresta Lazzaro Piccone.

Arrestato, il marito cambia versione, affermando che in seguito ad un diverbio con al moglie, le avrebbe scagliato contro un coltello ferendola, senza conoscere la possibile conseguenze del suo gesto. Appare però molto sospetta la lentezza con cui egli avrebbe provveduto al trasporto della ferita all’ospedale, che dista una breve distanza dal negozio, flemma che ha permesso all’emorragia di completare l’opera. Angela, moglie infelice, spesso picchiata dal marito, si confidava spesso con la parrucchiera dove andava a farsi fare i capelli affermando che quasi giornalmente il marito alzava le mani su di lei e ebbe in quella occasione un triste presentimento sulla sua prossima fine. Un altro triste fatto descrive la qualità del rapporto che Angela viveva: non essendoci in casa il riscaldamento, la donna con il piccolo Serafino andò da una vicina dove c’era una temperatura vivibile. Lazzaro tornò prima quella sera trovando la casa vuota, senza cercare nessuno, chiuse a chiave la porta dall’interno, lasciando madre e figlio chiusi fuori.

Lei bussò ripetutamente alla porta ma il marito non aprì e anzi andò a coricarsi addormentandosi tranquillamente. Quella notte gelida, la povera donna e il suo bimbo, dormirono sulle scale al freddo mentre il marito era al caldo nel letto. Piccone , a seguito della morte della moglie, viene rinviato a giudizio alla Corte di Assise di Savona e in un processo seguitissimo dalla opinione pubblica fu giudicato colpevole di omicidio preterintenzionale e condannato a 15 anni di detenzione più 2 anni di vigilanza speciale e alla interdizione perpetua dei pubblici uffici.

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