“Volgiti indietro, e tien lo viso chiuso:
che se il Gorgon si mostra, e tu il vedessi,
nulla sarebbe del tornar mai suso.”
Provo a riannodare i fili dello scorso intervento per intrecciarli a quello attuale: Medusa era una giovane e bellissima mortale che subisce violenza da Poseidone in un tempio sacro ad Atena, lotta contro l’abuso del dio e viene punita orrendamente dalla dea. È così che diviene Medusa, la Gorgone per antonomasia, orribile e potente, in grado di impietrare con lo sguardo, regina delle Gorgoni immortali pur rimanendo mortale. Donna di confine, abitante dell’hic sunt leones, punita per una colpa non sua, mortale tra gli dei, orribile ma una volta bellissima, dotata di uno sguardo magnetico e letale. Quante sfaccettature in una figura tanto complessa, ma tutte, o quasi, interpretate e giudicate negativamente. Già alle origini del mito la stessa Persefone vuole Medusa come custode degli inferi, dell’universo ctonio archetipico ed inquietante; duemila anni dopo Dante, (molti avranno riconosciuto la terzina tratta dal IX canto dell’Inferno) uomo del medioevo razionalista e cristiano, la colloca nell’Inferno come simbolo del dubbio religioso, il dubbio che è antitetico alla fede e che, nella manichea prospettiva dantesca, non può che pietrificare l’uomo nel suo percorso verso il bene precludendogli il cielo, insomma, una figura malvagia che toglie la “luce del logos” allo sguardo della mente cristallizzandola in una reificante rinuncia all’ascesa, prigioniera del suo stesso peso. Una sorta di Lucifero ante litteram, l’ottuso demone bloccato nel Cocito ghiacciato dal suo stesso sbattere le ali per fuggire dalla prigione che genera cercando di combatterla. Ciò che sostengo, insomma, è che rappresentazione e l’interpretazione di Medusa sia quanto “l’uomo del logos”, greco o cristiano che sia, è in grado di sopportare, ciò che si consente di vedere perché accettabile dalla sua mente, ma è indispensabile ascoltare il suggerimento dell’amico Nietzsche e divenire talpe, scavare in profondità senza paura di incontrare verità inattese. “Non troverai mai la verità, se non sei disposto ad accettare anche ciò che non ti aspettavi di trovare” assicura il pensiero dell’oscuro Eraclito. E allora: qual è “la verità altra” di Medusa?
Medusa è lo sguardo della vittima, non dimentichiamo che è stata violentata ed è l’immagine del senso di colpa da parte del maschio nei confronti della femmina, non tanto per averne abusato, Poseidone è il potere ed il potere ha poca coscienza etica, ma perché la violenza è figlia della paura e, in qualche anfratto di sé, anche un dio conosce le proprie fragilità. Medusa è il caos, incontrollabile dalla limitata e limitante ragione dell’uomo e dei suoi prodotti divini, nello specifico Poseidone, uno dei grandi onnipotenti della trinità greca, ed Atena, la ragione che combatte il caos, generata direttamente dalla testa di Zeus. Medusa è il disordine dei sogni e degli incubi, la voce che sussurra, in un linguaggio arcano e misterioso, che ogni cosa è caos ma che non deve fare paura, ecco perché chiunque la osservi, se non ha il coraggio e la disponibilità a riconoscere il magma incomprensibile che lo abita, ne risulta pietrificato. Ed ancora ecco perché se sei un artista, se sei abitato dal caos – per dirla con Nietzsche – e sai generare una stella danzante, non devi temere di osservare gli occhi di Medusa, anzi, saranno per te una carezza sul cuore e scoprirai che la pietrificazione è nel mondo che ti circonda e che saranno proprio le tue parole, i tuoi colori, le tue melodie ad offrire all’umanità, inconsapevolmente impietrita, l’occasione di tornare alla vita, all’incertezza della possibilità. Medusa protegge l’umanità, non controlla, escogita ma non per ingannare, è magica e non scientifica, sa e non ha bisogno di conoscere.
In questa prospettiva viene rovesciata la lettura classica del mito: Medusa è il caos dell’essere che è anche nell’uomo prima che la coscienza razionale, che non potrebbe convivere col caos, lo confini nell’oscurità del nulla per poi doverlo riconoscere come l’inconscio che, ancora una volta, “l’animale razionale” cercherà di ordinare in schemi gnoseologici positivistico scientifici, ma non è possibile ora sviluppare anche questa seconda parte del problema. Medusa è la consapevolezza che tutto è caos ed il suo sguardo è rivelatore di questa verità all’uomo che già la conosce ma non vuole accettare. Non è il suo sguardo che pietrifica l’osservatore ma la visione dell’abisso che lo abita riflesso in quegli occhi. Ancora una volta il pensiero si affianca al genio nietzscheano ed alla transvalutazione che suggerisce un’interrogazione: la negazione operata dalla ragione che vuole difendersi da un pericolo che non minaccia e che vuole semplicemente mostrarsi e mostrarti la verità dell’esistenza è morte e pietrificazione oppure, come sostengo, la vera morte è nel vivere una vita ingannevole, mistificata, utile alla sopravvivenza ma non all’esistenza, una vita gestibile, che si regge sulla complicità ingannevole di ogni partecipante alla farsa, una sorta di Enrico IV pirandelliano a livello globale?
Ancora una volta mi rendo conto che non sono riuscito a raggiungere il nodo più complesso del mito ma davvero siamo al dunque, purtroppo devo rimandare di nuovo ad un prossimo appuntamento, per ora ci lasciamo tornando alle certezze di Dante con le quali abbiamo aperto questa “conversazione”. La sua fede era, in verità, molto moderna, era fede nella ragione, quella che, nell’evoluzione del pensiero occidentale, è divenuta la fede nella scienza. Che panico quando la scienza non sa offrire risposte certe, tema di inquietante attualità, non è così? Una fede non ha bisogno dell’avvallo del tempo, una certezza assoluta e inconfutabile lo è al di là delle garanzie di una riprova reiterata, la scienza, il prodotto più alto della mente umana, non può offrire garanzie se non attraverso l’unico garante al quale non si può sfuggire: il tempo. Ma il tempo non è dell’uomo, solo la sua riduzione alla quantità, l’ennesimo autoinganno … ma questo non è solo socchiudere un uscio, è sbirciare l’infinito e, di certo, non una conclusione.
Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì.
Perchè non provare a consentirsi un “altro” punto di vista? Senza nessuna pretesa di sistematicità, ma con la massima onestà intellettuale, il curatore, che da sempre ricerca la libertà di pensiero, ogni settimana propone al lettore, partendo da frasi di autori e filosofi, “tracce per itinerari alternativi”. Per quanto sia possibile a chiunque, in quanto figlio del proprio pensiero.
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