“Anche con molti uomini colti non si può parlare di Inconscio senza venir tacciati di misticismo. L’angoscia è giustificata perché la nostra visione razionale del mondo, con le sue certezze scientifiche e morali ardentemente credute (perché dubbiose), è scossa dai dati dell’altra parte” così scrive Carl Gustav Jung nel suo saggio “L’io e l’inconscio” poco meno di un secolo fa. L’affermazione del maestro svizzero può essere molto utile ad illuminare alcuni aspetti ancora da decriptare dell’intricato mito di Medusa, specie se analizzato nella sua stretta e dialettica relazione con il ruolo di Atena. Come abbiamo visto Medusa è il confine, Atena la guerriera che ne impedisce il superamento. Stiamo trattando del millenario “attimo” in cui la ragione si è posta come unità di misura dell’essere precludendo all’uomo, trasformatosi sincronicamente in animale razionale, l’accesso all’ulteriore che è divenuto sede del nulla, dell’abisso. Proviamo ad esplicitare ponendoci alcuni interrogativi relativi allo sviluppo del mito in oggetto.
Come è certamente noto, Medusa viene decapitata dall’eroe Perseo grazie all’aiuto fornitogli dagli dei olimpici ma, soprattutto, da Atena. È la dea della ragione, non casualmente nata dalla testa di Zeus, che favorisce la decapitazione di Medusa e che fornisce a Perseo lo scudo il quale, grazie alla sua funzione di specchio, consentirà all’eroe di guardare la Gorgone in forma di riflesso senza esserne pietrificato. Solo in quel modo sarà in grado di avvicinarla e reciderle il capo anguicrinito. Ora chiediamoci: perché Atena non uccide Medusa ma la deforma? Perché successivamente ricorre a Perseo per raggiungere il suo scopo? Perché ne colloca sulla propria egida? Certo infinite altre possono essere le domande e quante risultano implicite in quelle che affrontiamo, ma credo che quelle proposte possano essere un buon inizio. Lo scontro tra la dea della ragione e la mortale che non si piega alla volontà del potere olimpico segna il conflitto all’interno del quale l’umanità acquista consapevolezza della propria coscienza. La ragione non può eliminare il magmatico essere nel quale trova origine, sarebbe negare se stessa, ma avverte l’urgenza di controllarlo, lo teme ma è consapevole di non essere in grado di affrontarlo direttamente, riesce, al massimo, a “deformarlo”. Ma non basta ed ecco che, dalla fase preludiale, quella della Grande Madre, per usare le categorie di Erich Neumann, si passa a quella dell’eroe. Perseo è umano, sarebbe annichilito dallo sguardo di Medusa, le ragioni le abbiamo precedentemente chiarite, ma grazie allo scudo di Atena non la vede nella sua essenza ma solo come immagine accettabile dal suo intelletto. L’egida della dea è la razionalità che coglie del caos, Medusa, solo ciò che riesce a comprendere, il suo riflesso. L’eroe è consapevole del pericolo e, pertanto, recide il capo della sfortunata ed incolpevole fanciulla, eppure essa permane, il mito lo esemplifica chiaramente. Ma non è questo l’oggetto della nostra riflessione, non l’uso più o meno lecito che Perseo farà in seguito dell’orrendo cimelio, non la dignità del suo agguato a Medusa che, evidentemente non può affrontare, non il fatto che Medusa non attacchi ma sia aggredita, nemmeno il particolare che il conflitto di fatto si consumi tra due donne ed il maschio sia solo un mezzo … limitiamoci ad una riflessione che prova ad essere, almeno per ora, conclusiva.
Il capo di Medusa è collocato da Atena sul proprio scudo realizzato con pelle di capra, non viene eliminato ma inserito funzionalmente nella “perfezione circolare del simbolo tragico” (tragos=capro) del suo potere. Credo sia interessante porsi almeno l’interrogativo: la vera sclerotizzazione è opera di Medusa che si limita a rivelare lo schema rigido del pensiero razionale figlio del capo di Zeus, oppure è la conseguenza della prigione logica che permette alla ragione autoreferenziale di Atena di sopravvivere e vincere il conflitto? Perché Medusa viene considerata “perversione della ragione”? Chi è il vero sconfitto in questa vicenda? Forse l’unico apparente vincitore, Perseo! L’eroe, infatti, diviene immagine di una umanità che ha rinunciato alla propria essenza magmatica accettando di sopravvivere solo come riflesso; la stessa umanità che celebra la nascita della grande filosofia del logos proprio ad Atene, città consacrata alla dea eponima. Si tratta di una filosofia che rinuncia all’inquietante sguardo di Medusa per accontentarsi della nottola di Atena che, dagli interrogativi socratici, raggiungerà l’inevitabile approdo hegeliano. La sapienza conflittuale che contrappone il caos anarchico di Medusa al rigore logico di Atena si trasforma nella dittatura della ragione che, inglobando l’antitesi nell’egida, perviene ad una sintesi che si autodefinisce conclusiva ed onnicomprensiva. Forse il principio di non contraddizione, la spada affilata di Perseo, si rivelerebbe un punteruolo spuntato se inghiottito nell’oceano infinito del caos, ma eccolo ergersi a lama ordinatrice dell’essere reale e razionale nella “cruenta e rassicurante” versione del mito olimpico.
Sono certamente più numerose le domande che nascono in queste righe piuttosto che le possibili risposte, ed allora, a compimento di tanta problematizzazione, un’ulteriore “tassello al puzzle diveniente del caos”. Mi riferisco a quanto a me, con tutta la modestia del ruolo, appare come una sorta di banalizzazione del problema attraverso le grossolane rappresentazioni delle lenti fallocratiche del potere che ho provato a tratteggiare nella figura dell’eroe greco. Perseo, sottolineo, seppure strumento, non banalizza il mistero del femminile, ma nell’evolversi e nel confermarsi della “prospettiva del vincitore che scrive la storia” si sviluppa e si precisa la definizione dei ruoli. Penso alla figura dell’eroe medioevale che libera la fanciulla graziosa e rasserenante, la ragione, dalla rettiliana ferocia del drago, così che il femminile si avvilisca riducendosi a “premio”. Lascio ai miei lettori lo spazio per una attualizzazione degli effetti che il piano inclinato appena tracciato può generare con la positiva consapevolezza che la sopravvivenza di “un pensiero altro” è garantita proprio da tanta intelligenza che ho incontrato nei commenti ricevuti anche a questi miei “timidi passi nella magia fragorosamente muta del mito”.
Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì.
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