La Cgil e l’Anpi di Savona in occasione della ricorrenza del 25 Aprile, orfana quest’anno delle cerimonie a causa dell’emergenza sanitaria, invitano la cittadinanza a esporre sui balconi il Tricolore Nazionale e di intonare “Bella ciao”. La bizzarra idea in realtà è figlia della sinistra, o meglio, di quella sinistra buonista, radical chic, del pensiero unico e del politically correct che in nome dell’antifascismo detta regole di democrazia.
Gianpaolo Pansa diceva: “Bella ciao, è una canzone che non è mai stata dei partigiani, come molti credono, però molto popolare”. Giorgio Bocca invece … “Bella ciao, canzone della Resistenza? … Non è nata dai partigiani poiché una fu presa in prestito da un canto dalmata. Nei venti mesi della guerra partigiana non ho mai sentito cantare Bella ciao, è stata un’invenzione del Festival di Spoleto”.
«Liberazione» è una parola dal significato chiaro e inequivocabile. Per questo, settantacinque anni dopo, sembrerebbe finalmente giunto il momento per mettere seriamente in discussione i presupposti di questa “festa” del 25 aprile, che tutto rappresenta tranne che la restituzione dell’indipendenza e della sovranità per la nostra Nazione. Settantacinque anni fa, infatti, gli americani portarono a termine la loro guerra imponendo il dominio del dollaro e della (geo)politica a stelle e strisce sull’Italia, e le basi militari sul nostro suolo sono ancora lì a ricordarcelo ogni giorno.
Difficile pensare a una “nostra” vittoria: il contributo partigiano fu irrisorio, aspetto che ormai costituisce un dato di fatto a livello storiografico. Ma il 25 aprile “doveva” divenire simbolo soprattutto per via dei partigiani comunisti, che avevano egemonizzato il movimento di Liberazione (tanto da compiere eccidi anche nei confronti dei partigiani bianchi) e sognavano una rivoluzione armata per imporre anche da noi il modello sovietico. Un sistema ben poco democratico, dunque, tanto che viene da chiedersi come facciano molti a festeggiare ancora oggi parlando di lotta alla barbarie totalitaria fascista da parte di combattenti democratici. Chi decise le sorti dell’Italia (e il suo collocamento nel blocco atlantico) furono solo le potenze straniere, dando il via a una serie di ingerenze politiche ancora di moda in questi tempi di crisi. Ecco perché si tratta di una ricorrenza sempre meno sentita, rivendicata con orgoglio quasi solo dagli sparuti eredi della “macelleria messicana” e del “triangolo della morte”, gli stessi che si schierarono contro i loro connazionali nel caso delle foibe e dell’esodo istriano, in nome della solidarietà internazionale comunista. Preso atto di ciò, difficile pensare che il 25 aprile possa avere senso per chi combatte per l’autodeterminazione e l’orgoglio della Patria.
Al contrario, chi volesse dare senso alla propria battaglia non dovrebbe far altro che restituire la pagina relativa agli anni del Fascismo al grande libro della Storia Italiana, per riprendere così in mano il fil rouge della nostra identità perduta. Perché, come ha ricordato Adriano Scianca, il Fascismo «seppe farsi forza non solo di massa, ma anche nazionale. Non parliamo solo dei numeri (e negli “anni del consenso” l’adesione all’avventura di Mussolini sfiorò davvero l’unanimità) ma anche di sostanza: istituendo un asse (a torto o a ragione, nella storia, non conta) fra Regime, Grande Guerra e Risorgimento, il Fascismo si è inserito indelebilmente in una narrazione collettiva da cui l’antifascismo rimane carnalmente estraneo. Fascismo e Italia, per venti anni, sono stati sinonimi. Anche Fascismo e Stato sono stati a lungo sinonimi, con segni tangibili che restano anche nell’impalcatura statuale di oggi».
Le Camicie Nere ravvivarono la fiamma risorgimentale e si fecero forza delle pulsioni scaturite dalle trincee della Prima guerra mondiale per «fare gli Italiani» e trovare una via autonoma allo sviluppo, l’«insubordinazione fondante» (per usare una categoria coniata da Marcelo Gullo) contro i modelli stranieri nel segno del Tricolore, quel vessillo che nulla c’entra con una canzonetta. Dedichiamo, invece, questa ricorrenza (che non ha mai unito gli Italiani) ai Caduti di tutte le guerre e alle vittime del Covid-19 … forse questo potrà unirci veramente!
Fabrizio Marabello
Portavoce Destra Sociale in Fratelli d’Italia