Liguria. Ophelia non solo è un uragano da record per la sua atipica traiettoria e per i devastanti incendi che, come effetto secondario, sono già in atto nella penisola iberica, ma fa riflettere i ricercatori di Fondazione Cima, che lo stanno monitorando da giovedì, circa i possibili impatti che potrebbe avere anche in Italia.
“Ophelia ci ha fatto subito ricordare Leslie – dichiara Luca Ferraris, presidente di Fondazione Cima – una tempesta tropicale con venti sostenuti sul minuto fino a 110 km/h che arrivò in Irlanda il 10 Ottobre 2000, e trasportò come effetto secondario moltissima umidità nel Mediterraneo al punto da dar luogo il 13-16 ottobre a una delle più gravi alluvioni nel nord Italia causando 23 vittime ed 11 dispersi.”
I ricercatori di Cima dimostrarono la correlazione tra Leslie e l’alluvione in Piemonte del 2000 in un articolo scientifico pubblicato qualche anno più tardi. L’attenzione continua quindi a essere alta perchè Ophelia ha molti aspetti in comune con Leslie e occorre tenere sotto controllo i possibili impatti che potrebbero concretizzarsi nei prossimi giorni anche sulla nostra penisola.
“Siamo stati fortunati perché Ophelia sarebbe potuto anche entrare nel Mediterraneo – dichiara Antonio Parodi, ricercatore Cima – ma ne è rimasta fuori grazie all’alta pressione che caratterizzava l’area europea nei giorni scorsi. Certo preoccupa il fatto che eventi come questi potrebbero non essere più rari come lo sono stati finora perché supportati anche dall’innalzamento, osservato la scorsa settimana, di un 1-1.5 gradi della temperatura dell’Atlantico orientale rispetto alla media climatologica”.
Ci dobbiamo aspettare uragani anche in Europa e nel Mar Mediterraneo quindi? “Potrebbe essere – conclude Luca Ferraris – di sicuro queste situazioni ci portano a riflettere almeno su due dei temi principali di cui la nostra Fondazione si occupa: il primo riguarda le correlazioni di singoli eventi metereologici nel complesso sistema dei cambiamenti climatici, l’altro invece l’importanza di monitorare avvenimenti che finora possono ancora considerarsi rari e che noi chiamiamo ‘cigni neri’ prendendo in prestito la definizione di Nicholas Taleb, esperto di scienze dell’incertezza. I cigni neri sono infrequenti ma, proprio per la loro natura, possono coglierci impreparati e quindi avere un forte impatto sociale ed economico. Per Fondazione Cima vale il motto ‘prevenire è meglio che curare’: stiamo quindi con gli occhi ben aperti e con, dalla nostra parte, la forza tecnico-scientifica degli strumenti previsionali”.