Omicidio colposo

Uccisa in casa da emorragia, giudice dispone una nuova perizia

A giudizio il medico di famiglia al quale viene contestato di non aver sospeso una terapia farmacologica che avrebbe favorito il sanguinamento

aula 2 tribunale sv

Andora. E’ ripreso questa mattina il processo che vede a giudizio un medico di famiglia, la dottoressa Alessandra Barberis, per la morte di una donna di 63 anni, Marisa Frigerio, che nel marzo del 2012 era stata trovata senza vita nella sua villetta in via del Lampin ad Andora.

Il medico è accusato di omicidio colposo perché – questa la tesi dell’accusa – aveva sottovalutato le condizioni della paziente che, secondo l’esame medico legale, fu stroncata da un’emorragia interna dovuta ad un trauma che la signora si era procurata dieci giorni prima cadendo. Un evento che, almeno secondo la Procura, era stato sottovalutato dalla dottoressa Barberis alla quale la sessantenne si era rivolta dopo essere scivolata.

La Procura contesta al medico di non aver sospeso la cura di antiaggreganti (il “Plavix”) che la signora Frigerio assumeva abitualmente. La tesi del pm è che sia stata proprio l’assunzione di quel farmaco ad impedire che l’emorragia interna si arrestasse. Per questo motivo il medico era stato prima indagato poi rinviato a giudizio con l’accusa di omicidio colposo.

Questa mattina in aula è stata sentita proprio l’imputata che al giudice ha riferito di aver comunicato alla paziente di sospendere l’assunzione del farmaco antiaggregante, ma di non averlo indicato sulla prescrizione consegnata alla paziente. Alla luce dell’esito dell’istruttoria dibattimentale il giudice Giannone ha disposto un’ulteriore perizia medico legale per chiarire l’esistenza di un nesso causale tra la mancata sospensione del Plavix e l’emorragia fatale.

Secondo la tesi sostenuta dal difensore del medico, l’avvocato Riccardo Preve, e dal consulente di parte a provocare l’emorragia poteva essere stato anche un trauma di altra natura. La difesa, in estrema sintesi, si snoda intorno a due punti: per prima cosa si sostiene che, anche nel caso in cui la paziente avesse continuato ad assumere il farmaco, questo non avrebbe potuto favorire l’emorragia fatale e, in seconda battuta, si contesta la ricostruzione del pm secondo cui la lesione interna della signora Frigerio dopo la caduta, di fatto, non avrebbe mai smesso di sanguinare.

Se così fosse stato infatti – sempre secondo la difesa – la donna sarebbe stata male ed avrebbe lamentato sintomi ben precisi: invece nei dieci giorni trascorsi tra la caduta e la morte, a parte un dolore al fondoschiena, la sessantenne sarebbe stata bene (come avrebbero confermato anche i figli nelle loro deposizioni in aula).

Nella prossima udienza del procedimento, nel quale i famigliari della signora si sono costituiti parte civile con gli avvocati Francesco Bruno e Franco Vazio, è stata fissata a giugno per il conferimento dell’incarico peritale.

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