Italiani bocciati a tavola

tavola

[thumb:13388:l]Quasi tutti dicono di prediligere cibo ed ingredienti made in Italy, ma all’atto pratico gli italiani dimostrano di non conoscere alimenti e piatti della tradizione, tanto che per 1 su 3 il salame felino conterrebbe carne di gatto e l’aceto balsamico per 1 su 4 è realizzato unendo a normale aceto delle erbe di montagna.

Per quasi 9 italiani su 10 i prodotti alimentari made in Italy hanno una marcia in più: sono più buoni e genuini (27%), danno maggiori garanzie in termini di sicurezza (21%), per non parlare dei sapori unici e inconfondibili che sono in grado di offrire. Fin qui tutto bene, almeno in apparenza, ma la musica cambia quando le domande riguardano proprio alcuni di quei prodotti e piatti che dicono di considerare irrinunciabili.

Ecco allora che se il culatello è giustamente indicato come uno dei salumi più pregiati dal 44%, c’è chi pensa che sia un modo dialettale di chiamare il “lato b” dei bambini (21%). Allo stesso modo quando si parla di “datterino” solo il 7% sa che è una varietà di pomodoro, mentre il 39% pensa si tratti di una tipologia particolarmente piccola di dattero o addirittura un tipo di pesce (27%).

Le cose non vanno meglio quando dagli alimenti si passa ai più famosi piatti tipici della tradizione regionale: le celebri sarde a beccafico per ben il 51% degli intervistati non sono altro che sarde cucinate in salsa di fichi, mentre la “parmigiana”‘ è un piatto a base di parmigiano (19%). E la tanto decantata dieta mediterranea? Per il 29% si tratta di un tipo di alimentazione che prevede esclusivamente pesce.

Questo è ciò che emerge da un’indagine condotta da vie del Gusto, il mensile di turismo ed enogastronomia diretto da Domenico Marasco, su un campione di 1300 uomini e donne di età compresa tra i 18 ed i 55 anni intervistati sui prodotti del made in Italy e della tradizione culinaria italiana. Per gli italiani made in Italy è sinonimo di garanzia, genuinità, tradizione e gusto, ma in molti ammettono di non conoscere bene i prodotti e le sigle che ne certificano la qualità.

E a sorpresa le donne meno preparate degli uomini. Il 62% delle intervistate ha commesso almeno 3 errori nel questionario, contro il 28% degli uomini. Ma cosa significa made in Italy? Per il 29% degli intervistati, sono i prodotti che esistono solo nel nostro Paese, per il 23% è un prodotto presente solo in alcune aree geografiche mentre per il 19% è sinonimo di tradizione.

Nonostante la dichiarata intenzione di prestare attenzione all’etichetta ed alla provenienza dei cibi e delle bevande italiane, una grossa fetta degli intervistati non nega di avere grosse difficoltà con nomi e sigle spesso incomprensibili (44%).

Sulla carta solo il 16% degli italiani non presta cura alla provenienza degli articoli alimentari acquistati o comunque non la reputa una caratteristica degna di nota. Per il 34%, infatti la provenienza rigorosamente italiana rappresenta un elemento irrinunciabile, a cui si aggiunge il 28% che la ritiene molto importante e l’11% che pensa che lo sia abbastanza. Una parte importante nella scelta ce l’hanno anche i ricordi personali: l’11% sceglie prodotti made in Italy perché ricordano sapori a cui si è abituati.

Quando si passa dalla teoria alla pratica queste difficoltà emergono con grande evidenza, tanto che errori e strafalcioni non si contano, sia sugli alimenti e prodotti, che sui piatti della tradizione. La dieta mediterranea? Un’alimentazione ipocalorica a base di pesce. Il capocollo è un formaggio, la tinca un vino e la parmigiana è un piatto tipico a base di formaggio.

Ecco tutti gli svarioni degli italiani in cucina. Il culatello è uno dei salumi più pregiati, che ci viene invidiato da tutto il mondo, cosa di cui il 41% degli intervistati sembra essere a conoscenza, ma per il 21% si tratta di un modo simpatico di chiamare il sederino dei bambini o addirittura un “vezzeggiativo” per una signorina che ha delle curve particolarmente attraenti (17%). Allo stesso modo il capocollo è identificato correttamente dal 22% come insaccato, mentre per il 25%, memore forse di alcuni vecchi film di Lino Banfi, dove l’attore minacciava di “spezzare la noce del capocollo”, si tratta della parte superiore del collo di un uomo. Addirittura, per il 21%, altro non è che un formaggio.

Il salame felino? Il 26% sa che il nome deriva dal luogo di produzione, c’è chi lo associa alla diceria per la quale i veneti mangiano i gatti e ritiene quindi che si tratti di un insaccato veneto a base di carne di gatto (33%). E la Tinca Gobba Dorata? Solo il 19% sa che si tratta di un pesce, per il 42% si tratta di una malformazione di un osso della gamba (viene insomma confusa con la tibia), ma c’è anche chi si dice convinto del fatto che sia un pregiato vino delle Langhe (12%).

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