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Foto dei figli minorenni sui social, Tavaroli: “Comportamento narcisista e pericoloso”

Così l’albenganese considerato una della voci italiane più autorevoli in materia di cybersicurezza e intelligence privata. Ospite del podcast condotto da Nicola Seppone “La Telefonata"

Generico agosto 2021

Liguria. “Trent’anni fa, quando Facebook e Instagram non esistevano, avremmo mai deciso di ‘regalare’ le nostre foto, magari quelle del nostro matrimonio, oppure uno scatto dei nostri figli appena nati al mondo intero?”. A domandarselo, nel corso del podcastLa Telefonata” condotto dal giornalista Nicola Seppone, è Giuliano Tavaroli.

Albenganese di nascita, Tavaroli è considerato uno dei maggiori esperti italiani in materia di cybersicurezza e intelligence privata. A parlare per lui c’è una lunga carriera – di oltre quarant’anni – iniziata nell’arma dei carabinieri (dieci anni), periodo in cui lungo la sua strada ha incontrato anche il compianto generale Carlo Alberto dalla Chiesa. Poi, nell’ambito del mondo della sicurezza dei dati e dei rischi, una vita professionale spesa al servizio di alcune importanti aziende italiane (Italtel, Pirelli e Telecom, solo per citare le più importanti).

ASCOLTA “LA TELEFONATA” CON GIULIANO TAVAROLI

Il mondo corre veloce e da quando Tavaroli ha iniziato ad occuparsi di sicurezza di cose ne sono cambiate parecchie. Lo sa bene anche lui, che si definisce un “nomade digitale”, entrato d’istinto nell’universo della tecnologia moderna quando questa ancora non era stata nemmeno pensata. Ma cosa vuol dire “privacy” nel 2021? Siamo pienamente consapevoli dell’uso che ogni giorno facciamo di social, app e nuove tecnologie? Le istituzioni liguri, da quelle più piccole a quelle più grandi, sono all’avanguardia e sarebbero pronte a rispondere ad un eventuale attacco hacker come quello avvenuto recentemente alla Regione Lazio?

“POSSONO ANCHE SPIARMI, TANTO NON HO NULLA DA NASCONDERE”

È questa la reazione di molte persone di fronte ad una delle domande più ricorrenti del mondo moderno: “Ma con tutti questi oggetti tecnologici, dagli smartphone agli assistenti vocali intelligenti che ci mettiamo in salotto, ci staranno mica spiando? E se sì, chi ci spia e perché?”

Ma sarà proprio vero che non abbiamo nulla da nascondere? Secondo Tavaroli assolutamente no: “Quando le persone dicono ‘io non ho nulla da nascondere’, in parte diranno anche la verità – spiega -, ma questo non vuol dire che non abbiamo informazioni personali che tali devono rimanere. “. Vi dice nulla l’app del vostro istituto bancario?

“Non dimentichiamoci – continua Tavaroli – che oggi l’interfaccia più usata per noi è il telefono. Ed è diventato l’interfaccia per tutto, non solo per l’informazione. Pensiamo ai servizi finanziari e oggi più che mai anche a quelli sanitari. Quando diciamo che non abbiamo nulla da nascondere, quindi, non diciamo proprio la verità. Perché le nostre credenziali bancarie sono un dato che dovremmo aver cura di tenere riservato”.

QUANDO TI RUBANO IN CASA E IL PASSEPARTOUT PER I LADRI È IL TUO PROFILO SOCIAL

Volenti o nolenti, il mondo moderno ci ha costretti a cedere un po’ della nostra riservatezza. Pensiamo alla telecamere sparse qua e là “per ragioni di sicurezza” nelle varie città. Ma spesso, forse il più delle volte, siamo direttamente noi, in modo autonomo e completamente svincolato da obblighi, che decidiamo di cedere a tutti un pezzo della nostra vita.

È l’universo dei social network. Ed è proprio il rapporto che abbiamo con quest’ultimi che cattura l’attenzione di Tavaroli: “Dovremmo cercare di essere più attenti a quello che utilizziamo e capire come lo utilizziamo – precisa l’esperto -. Oggi dobbiamo stare attenti a non aprire anche i link che ci arrivano su WhatsApp anche da parte di persone conosciute. Dobbiamo sempre verificare che il mittente abbia davvero voluto inviarci quel messaggio”.

Tavaroli poi bacchetta una delle tendenze social più popolari: “Come valuto chi pubblica le foto dei figli minorenni sui social? Non giudico, ma dal punto di vista professionale lo valuto come un comportamento narcisista e pericoloso – precisa -. È pericoloso perché se scrivi che vai in vacanza e posti una foto di casa dove si vede dove abiti, il quadro di valore e molto altro, a quel punto non ti devi stupire se in qualche modo i ladri poi vengono a farti visita. Anche perché spesso i contenuti che pubblichiamo sono anche geo-referenziati”.

Cediamo i nostri dati con grande facilità e raccontiamo tanto di noi, spesso troppo – continua -. Pensiamo anche al mercato della pedofilia e della pedo-pornografia, che sono esplosi con il mondo digitale. In Italia scompaiono minori e adolescenti in numero crescente rispetto al passato”.

LA PRIVACY? “NON ESISTE PIÙ”

A dirlo non è stato Giuliano Tavaroli, ma “un tal” Mark Zuckerberg. Il fondatore di Facebook, infatti, aveva risposto così a chi gli domandava se avesse ancora senso parlare di riservatezza online: “Le norme sociali sono cambiate”, aveva sentenziato.

“Dopo quelle parole avremmo già dovuto metterci in allarme – racconta Tavaroli -. Se tu oggi posti una tua foto o della tua famiglia, ne perdi la proprietà. Ma tu, venti anni fa, l’avresti regalata a tutti la foto del tuo matrimonio? Probabilmente no. Oggi invece ‘lo facciamo’ quotidianamente”.

Ecco che cosa sta succedendo secondo il professionista albenganese: “Lo strumento digitale sta desensibilizzando le persone al valore del dato e dell’informazione. Per cosa poi? Per un like? Ma di chi, poi? Quando l’80% del traffico sui social è falso, è fatto di bot e di algoritmi. Un mercato in buona parte drogato dai professionisti e dal marketing”.

Un concetto importante quindi, quello di privacy, tanto che sul nostro giornale abbiamo deciso di lanciare un rubrica dedicata a questo mondo. Si chiama “Privacy in Progress” e cliccando qui è possibile leggere tutti gli articoli.

LA STRADA IN SALITA DELLA LIGURIA

Quello che è accaduto poche settimane fa in Regione Lazio, vittima di un attacco hacker che ha paralizzato la prenotazione dei vaccini e l’attività regionale, potrebbe replicarsi anche nella nostra Regione. Secondo Tavaroli c’è ben poco da stare sereni: “C’è da preoccuparsi – puntualizza – o meglio preoccuparci prima che avvenga qualcosa di spiacevole. Non possiamo accendere i riflettori su questi argomenti solo quando accade qualcosa in grado di alzare il livello di curiosità su questi fenomeni, come il rischio della privacy digitale. Occorre un approccio sistematico, anche perché spesso basta l’errore di una persona”. E questo nel Lazio oggi lo sanno bene.

La Liguria è la regione con la denatalità più alta rispetto a tutte le altre – afferma Tavaroli -. Siamo una regione vecchia, con pochi giovani. Inoltre il nostro Paese ha un tasso di abbandono scolastico più alto rispetto a tutti gli altri Paesi sviluppati. Questa è una lacuna che non può essere accettata e che va assolutamente colmata. Come pensiamo di governare la modernità senza giovani coinvolti, appassionati alla scienza e alla tecnica?

IL FUTURO TRA IMMUNITÀ DI GREGGE DIGITALE E CIVISMO DIGITALE

Secondo Tavaroli nel mondo del (presente e del) futuro la sicurezza non è un costo, ma un pre-requisito fondamentale che riguarda la vita delle persone.

“Noi dobbiamo puntare all’immunità di gregge digitale – spiega -. La sicurezza di una comunità è la sicurezza complessiva, anche perché basta l’errore di una persona per mettere a repentaglio la sicurezza di tutti. A volte ci sfugge come è cambiato e come sta cambiando il mondo. Ci basti pensare che in Germania, poco tempo fa, si è registrato il primo morto ufficiale per ransomware. Si tratta di una paziente deceduta all’ospedale di Duesseldorf il 10 settembre del 2020. La donna necessitava di cure mediche urgenti ed era stata indirizzata in un ospedale a 30 km di distanza da quello in cui si trovava. Ma la struttura non ha potuto accoglierla a causa di un blocco informatico. Un trasferimento fatale che le è costato la vita a causa del ritardo delle cure”.

Ecco perché è importante l’educazione digitale: “Spesso i genitori sono preoccupati dell’educazione formale – conclude Tavaroli -, ma sono poco attenti a quella digitale, anche perché non si pongono il problema. Perché i genitori non chiedono alla scuola di assumersi un ruolo corretto di educazione digitale? Non serve quel giorno all’anno in cui arriva la polizia postale in classe a spiegare ai ragazzi come devono comportarsi online. Serve un percorso completo e costante. Occorre puntare al civismo digitale, dobbiamo parlarci e capire che cosa vogliamo fare, dalla scuola agli amministratori pubblici. Bisogna studiare le regole della privacy, anche perché quando facciamo una domanda di assunzione, dobbiamo sapere che il nostro ipotetico datore di lavoro la prima cosa che andrà a vedere sarà probabilmente il nostro profilo social. Ecco perché dobbiamo pensare a come giudicheremo tra dieci anni le cose che pubblichiamo oggi”.

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