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Manovra Finanziaria: l’opinione di Nicola Isetta, coordinatore provinciale Sel

Nicola Isetta

Tanto per non cambiare, ad essere colpiti dalla manovra Finanziaria sono i soliti noti. Accanto a questo, l’aspetto più macroscopico della scelta governativa, è quello di spostare al biennio 2013-2014 il grosso della manovra (40 miliardi se non più). Con l’evidente l’intenzione di scaricare tutto sulle spalle del governo che verrà.

La motivazione centrale di questa manovra è fondata sul fatto che  il pareggio di bilancio e la riduzione del debito siano obiettivi e vincoli irrinunciabili ed ineludibili, in quanto posti dall’ultimo consiglio europeo di fine marzo. In considerazione di ciò  la discussione verterebbe, quindi, soltanto sulle modalità del loro raggiungimento. Gli obiettivi sono modificabili. Se così non fosse la differenza tra destra e sinistra si ridurrebbe entro ambiti molto stretti e scivolosi, nel senso che l’una potrebbe giocare la parte dell’altra, più o meno come sta avvenendo ora in Grecia, dove, a fronte dei diktat degli organi di governo europei e dei mercati finanziari.
Dobbiamo innanzitutto dire che  non è affatto vero che l’Europa non possa agire diversamente nei confronti della vicenda greca,  e per estensione di tutti gli altri paesi a rischio, fra cui compare anche l’Italia. Non è vero che l’azzeramento del deficit entro il 2014 e l’abbattimento dello stock del debito in ragione di un ventesimo all’anno della differenza che ci separa dall’attuale livello del rapporto debito/Pil (118,5%) e il famigerato parametro di Maastricht del 60%, siano nel caso italiano gli unici obiettivi perseguibili, validi tanto per la destra come per la sinistra, salvo i modi più o meno gentili per perseguirli.

Va ricordato per l’ennesima volta che la spesa sociale italiana,  la solita vittima dei tagli della manovra di Tremonti,  non è affatto la più elevata nel contesto europeo. Se consideriamo la spesa primaria, ovvero la spesa pubblica per soddisfare i bisogni primari dei cittadini ( come istruzione, sanità, welfare, assistenza ) al netto degli interessi, si vedrà che la sua incidenza sul Pil colloca l’Italia agli ultimi posti della classifica. Per l’esattezza occupiamo il 21° posto nella spesa primaria in percentuale sul Pil. Al primo posto c’è ovviamente la Danimarca, ma più spendaccioni di noi sono anche l’Ungheria e la Repubblica Ceca, per citare paesi non particolarmente celebri in materia di welfare state. La nostra percentuale è del 32,4% (dati 2010), mentre la media dell’area Euro è del 37,8%.

Eppure la manovra del governo si abbatte sui soliti noti. I pensionati cui si nega la rivalutazione a partire da pensioni molto modeste, le donne, di cui si ripropone l’allungamento della vita lavorativa, senza alcun riguardo al tipo di lavoro che effettivamente viene compiuto, o gli insegnanti di sostegno, a dimostrazione che i portatori di handicap sono argomento di carità e non di politica statuale nel nostro paese.

Contemporaneamente il governo avanza una linea di riforma fiscale pesantemente regressiva, basata sul principio di tre aliquote e della riduzione della pressione fiscale apparente, che favorirebbe tutti i percettori di redditi alti e violerebbe ancora di più il principio di progressività contenuto nella nostra carta costituzionale. Tale riforma diminuirebbe perciò il volume complessivo delle entrate dello stato, spingendo sempre più le manovre di aggiustamento di bilancio verso la riduzione della spesa sociale.

Nessuno schieramento politico che voglia proporsi come un’alternativa seria al berlusconismo può caricarsi sulle spalle una simile eredità. Non ci può essere nessuna continuità di indirizzi entro questa manovra finanziaria ed economica tra l’attuale maggioranza e quella che, eventualmente, dovesse prevalere nelle prossime elezioni politiche. Va detto subito, qui e nel contesto europeo.
La riduzione del deficit e  del debito non deve necessariamente essere  portato dalla riduzione delle spese,  ma l’aumento della sua qualità. Ed è proprio questa valutazione che può fare da volano a un nuovo tipo di sviluppo che aumentando e migliorando la crescita sociale ed economica del paese può venire incontro alle sue esigenze finanziarie.

Poiché questo non riguarda solo il caso italiano, ma certamente da subito tutti i paesi mediterranei  e in prospettiva l’Europa tutta, è difficile immaginare una manovra finanziaria all’altezza della necessità di uscire dalla crisi economica, senza una rinegoziazione e una modifica profonda dei pilastri dell’economia e della finanza europea. Un paese solo non può farcela, ma un’alleanza fra più Paesi potrebbe nel concerto europeo formare quella massa critica capace di impensierire una Germania non più tanto sicura dei propri assetti politici interni e di fare rientrare i rigurgiti di neoliberismo che stanno dietro le decisioni di Bruxelles e che coprono le responsabilità dei singoli governi nazionali.

Nicola Isetta
Coordinatore Provinciale Sinistra Ecologia Libertà