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Per un pensiero altro

La paura del fanatico

"Per un Pensiero Altro" è la rubrica filosofica di IVG: ogni mercoledì, partendo da frasi e citazioni, tracce per "itinerari alternativi"

Rubrica Masci

“Ritengo che l’essenza del fanatismo stia nel desiderio di costringere gli altri a cambiare. Quell’inclinazione comune a rendere migliore il tuo vicino, educare il tuo coniuge, programmare tuo figlio, raddrizzare il fratello, piuttosto che lasciarli vivere”, così scrive in “Contro il fanatismo” Amos Oz, cognome originale Klausner che divenne Oz che in ebraico significa forza. Non entro nel merito delle posizioni politiche dell’autore e saggista israeliano del quale ho amato intensamente “Lo stesso mare”, un delicatissimo intreccio di alta poesia, raffinata  prosa ed intensa emozione, mi limito a sottolineare che di fanatismo ha fatto sicuramente esperienza sulla propria pelle. Questo ovviamente non gli offre patenti di “verità”, sarebbe contraddittorio con quanto afferma e darebbe ragione a mio padre col quale ho discusso fino a che ne ho avuto la possibilità, ed ora, che non c’è più, ricordo le sue parole, che allora mi urtavano, con un sorriso (uno dei doni che gli anni mi hanno elargito è la capacità di ammorbidire la vis polemica e coltivare la tolleranza): “Figlio mio – precisava ad ogni confronto – parla pure, sei libero di dire tutto quello che vuoi, io comunque non cambierò idea”. Lui si definiva “coerente”, non mi sembrava un atteggiamento corretto allora e, “per coerenza”, non mi sembra corretto oggi, lo trovo ancora arrogante e supponente, le due radici del fanatismo, ma sorrido, era mio padre … torniamo al tema.

Già nel 1788 nella sua “Critica della ragion pratica”, non tedio il lettore con la distinzione tra pura pratica ed empirica pratica, cosa che, comunque, sarebbe utile anche per la nostra riflessione, il grande Immanuel Kant ci metteva in guardia nei confronti del fanatismo. Provo a sintetizzare un elemento fondazionale del suo pensiero sperando di non semplificarlo eccessivamente ma è importante averne intelligenza per il nostro argomentare attuale: per Kant non esistono o, più precisamente, non sono accessibili all’uomo i concetti di bene e di male in valore assoluto, non si raggiunge l’iperuranio platonico dove poterli osservare per tradurne l’essenza in azione, al contrario è la “legge morale dentro di me” ad essere fondamento alle idee di bene e di male. Il concetto è complesso e mi auguro di averlo reso in maniera chiara, ma è importante premetterlo poiché da esso consegue che l’uomo è la sede del conflitto tra il bene che lo abita “noumenicamente” e l’impossibilità alla “conformità perfetta della volontà alla legge morale”. Con grande chiarezza Kant scrive che a tale perfezione “non può giungere nessun essere razionale in nessun momento della propria esistenza”. Chiunque sia convinto di aver raggiunto una verità assoluta e di esserne incarnazione è afflitto dal delirio della santità, in altre parole è un fanatico. Proviamo adesso a riportare la lucidissima riflessione kantiana dalle altezze del suo pensiero al nostro più umile quotidiano: abbiamo modo di riconoscere il fenomeno del fanatismo come malattia dell’epoca che stiamo vivendo e determinando? Direi tristemente di si!

Sembra addirittura che il fanatismo sia una delle più gravi patologie del nostro tempo, e non mi riferisco a ciò che il mondo occidentale sta tragicamente sperimentando in maniera diretta o osservando da lontano in culture diverse, ma ad una sorta di contagiosissimo virus, origine di una vera e propria pandemia che non ha risparmiato nemmeno l’autoproclamato mondo libero e illuminato dei diritti democratici. Sostenere che la verità sieda sulle ginocchia di Dio, nel pensiero politico di qualche teorico della società perfetta o tra le parole del virologo di turno non cambia la sostanza del problema, ma la tragedia più vera è lo sgocciolare delle somme verità sulla vita di ogni piccolo cittadino di oggi. È sufficiente la lettura di una pagina di internet per scoprirsi medici o filosofi e, tanto più il lettore è incompetente, tanto più il primo pensiero che si farà strada sotto le sue meningi, per qualsivoglia ragione proprio quel pensiero e non un altro, assurgerà a verità, ad espressione della natura profonda del soggetto che crederà di averlo già prima autonomamente pensato e di averne trovata conferma nel testo appena incontrato. Da lì in avanti si sentirà tenuto a difendere e diffondere il verbo. Mi torna in mente Tim, lo studente che, nell’epilogo tragico del film “L’onda”, si suicida perché gli avevano tolto le sue verità, quelle che lo avevano definito, che gli avevano assegnato un ruolo, addirittura rivelato un senso, rimesso ogni cosa in ordine! Ogni “fragile” ha bisogno di verità semplici, meglio se  queste creano confronti accesi, in quel modo il poverino si sente “qualcosa” finalmente, per esempio quello che è contro oppure che sostiene questo o quello. Ciò che avrebbe potuto costruttivamente rimanere un’opinione diviene un atto di fede. Le persone più intelligenti e “risolte” non sono terrorizzate dall’idea di essere messe in discussione, anzi, ne sono grate all’interlocutore; al contrario, tanto più una persona è debolele e spaventata tanto più si auto confermerà nelle proprie presunte verità e non c’è nulla di più efficace per consolidare sempre più la propria fede nella correttezza dei propri pensieri che l’impermeabilità preconcetta, questa ti rassicura e ti mostra in maniera assoluta l’errore in cui abita l’altro. Addirittura ti muoverà verso il compito sacro del proselitismo, per il bene altrui dovrai mettere in atto tutte le strategie di cui sei capace per illuminare lo sguardo ottenebrato del tuo interlocutore.

Spero sia chiaro che chi mi sta davvero a cuore sono i sostenitori dei fanatici, quei tanti che si accodano inconsapevoli ad una presunta idea e la sposano “senza se e senza ma”, come va di moda proclamare oggi. La recente pandemia, per esempio, ha scatenato una vera e propria “guerra degli ultimi” che, finalmente, hanno diritto di parola in una questione abbastanza elevata ma commestibile a chiunque, una sorta di “sacro diritto democratico all’opinione”. Ma è indispensabile la certezza di possedere la verità per poter alzare la voce ed infervorarsi nella sterilissima discussione, essere convinti di essere dalla parte del giusto ed avvertire sulle proprie fragili ma coraggiose spalle il dovere di emendare l’errore dalle menti degli altri. Va anche detto che un po’ tutti abbiamo la tendenza a considerare fondate le nostre certezze, a guardare il mondo solo attraverso i nostri preconcetti, a non riuscire a vederlo con gli occhi degli altri ma questo non genera necessariamente dei fanatici. Credo possano essere illuminanti in tal senso le profonde parole di Giuseppe Pontiggia “I fanatici non sono gli unici convinti di possedere la verità (quasi tutti ne sono convinti), sono solo i più terrorizzati di perderla”. Si intravede tra le righe il tema che attraversa tutto il pensiero filosofico: esiste una verità assoluta alla quale tendere o ogni verità è relativa ai parametri arbitrari con i quali la si individua? Lungi da me la pretesa di offrire una risposta definitiva, sarebbe un paradosso logico e metodologico, mi limito a suggerire l’opportunità di sotterrare le armi, meglio ancora eliminarle, specie se ci si massacra per interessi altrui, e magari tornare al piacere di un confronto anche acceso, appassionato, ma mai “fanatico”. Ancora una volta credo abbia ragione un grande pensatore vittima di un fanatismo preconcetto che ne ha falsato ogni parola fino a nazificare ciò che nulla aveva a che spartire con quella dottrina, mi riferisco ovviamente a Nietzsche che afferma: “I fanatici sono pittoreschi, l’umanità preferisce vedere dei gesti all’ascoltare delle ragioni”.

Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì.
Perchè non provare a consentirsi un “altro” punto di vista? Senza nessuna pretesa di sistematicità, ma con la massima onestà intellettuale, il curatore, che da sempre ricerca la libertà di pensiero, ogni settimana propone al lettore, partendo da frasi di autori e filosofi, “tracce per itinerari alternativi”. Per quanto sia possibile a chiunque, in quanto figlio del proprio pensiero.
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