La pesante proposta che arriva dalla Confindustria genovese di inglobamento della “storica” Unione Industriali savonese è indice della situazione concreta nella quale si trovano la nostra Città e la sua provincia .
Città , circondario e l’intera provincia di Savona si trovano alle prese di una difficile fase di transizione, la cui realtà non sembra compiutamente colta dai settori politici, economici, dei corpi intermedi che si stanno proponendo come classe dirigente.
A questo complicato stato di cose (che prosegue nel tempo) non sono possibili risposte di tipo campanilistico da banale “periferia” e neppure di rifugio nel “populismo gentile” (come è stato felicemente definito) che emerge – ad esempio – nelle ancor vaghe intenzioni programmatiche di qualche candidato sindaco, dal centro – destra al M5S tanto per fare degli esempi.
In piena crisi di identità Savona si appresta al turno elettorale del prossimo autunno, nel quale si rinnoveranno il Sindaco e il Consiglio Comunale.
In discussione però non ci sarà, semplicemente, l’operato dell’amministrazione di centro destra ma l’intero processo di transizione che a Savona ha accompagnato la fase di de-industrializzazione, di mutamento d’indirizzo del Porto Antico con l’avvento delle crociere, di superamento di quelli che erano stati i capisaldi dell’amministrazione di sinistra che aveva traghettato la Città nella ricostruzione del dopoguerra, dalla difesa della struttura produttiva, all’estensione dei servizi socio – sanitari fino alla valorizzazione delle periferie.
In questi ultimi venticinque anni Savona ha perduto il suo ruolo di capoluogo, la capacità di guida del comprensorio che aveva avuto all’epoca della felice intuizione del PRIS: si è verificato un frazionamento territoriale così che la piattaforma Maersk a Vado è sorta priva del necessario retroterra infrastrutturale e la conformazione dell’ “area industriale di crisi complessa” (gestita da Invitalia e che dal 2016 non ha fornito alcun risultato tangibile) ha compreso il vadese e la Valbormida escludendo clamorosamente la Città.
Non a caso questa “seconda fase” è stata caratterizzata dall’elezione diretta del Sindaco e dall’elezione diretta del Presidente della Regione (stupidamente denominato Governatore): una simbiosi istituzionale assolutamente negativa che ha trasformato l’amministrazione pubblica in una struttura piegata verso interessi corporativi e personalistici.
Nel frattempo Savona ha perso la banca (ingoiata nel mare magnum della CARIGE), la titolarità della Camera di Commercio (finita nell’assurda Camera di Commercio delle Riviere), la presenza dell’Autorità Portuale (inglobata da Genova: con la presenza savonese mantenuta attraverso una non sorprendente continuità con il passato).
E’ difficile allora, in vista delle elezioni del prossimo autunno, individuare il sistema di potere verso il quale rivolgersi presentando una proposta alternativa.
Permangono vecchie incrostazioni dalle quali però non pare possano sorgere livelli di riferimento in grado di sviluppare una nuova dimensione di identità; l’amministrazione di centro destra uscente si presenta, paradossalmente ma non troppo , priva di un bilancio da sottoporre al giudizio delle elettrici e degli elettori: una situazione emblematizzata dalla mancata ricandidatura del Sindaco uscente.
Una città senza identità è una città priva di poteri costituiti.
In gioco ad ottobre l’avvio verso una fase decisamente diversa o il suo proseguimento all’infinito all’interno del tunnel del declino.
Un declino che potrà essere affrontato soltanto pensando alla “Savona fuori di Savona” attraversando l’affermazione di una piena funzione di Città capace di essere punto di offerta di evoluzione nella relazione tra ambiente e rapporti sociali, di fruizione degli strumenti di conoscenza, di avanzamento tecnico e scientifico in modo da affrontare, in una dimensione non limitata alla cerchia urbana, il sovrastante problema del calo demografico.
Sarà una questione di progettualità e di visione: le savonesi e i savonesi dovranno essere posti in condizione di saper scegliere a questo livello e non semplicemente nella dimensione di un minimalismo amministrativo che la Città non può più assolutamente permettersi.
Franco Astengo