“Il poeta ribelle, l’eroe solitario, è un individuo senza seguaci: non trascina le masse in piazza, non provoca le rivoluzioni. Però le prepara.” Così afferma Oriana Fallaci che di eroi ne ha incontestabile esperienza. È certo una definizione, seppure così sottile da divenire difficile da impiegare se l’intento è di stabilire in pratica chi è un eroe. Aldo Busi, forse un po’ più ironico e caustico, afferma che “Il vero eroe alla fine muore. Quelli che restano sono i filosofi”, senza però precisare alla fine di cosa; in effetti tutti muoiono, almeno per ora, che siano eroi oppure filosofi. In fondo anche questa indicazione non risolve il problema. Può essere utile quanto sostiene Will Rogers, comico oltre polivalente intellettuale: “Non possiamo essere tutti eroi poiché qualcuno deve pur sedersi sul bordo del marciapiede ed applaudire mentre loro passano”. Può aiutarci uno sguardo nell’epoca degli eroi, l’età del mito? Chi meglio di Omero ed Esiodo può spiegarci chi è l’eroe?
La loro versione trova sviluppo anche nel pensiero meta filosofico di Platone, allora l’eroe era un semi-dio, generato dall’unione di un immortale, il più delle volte maschio, con una mortale. Si era di già nell’età del potere fallico, quella che è oggetto dell’unica storia raccontata in qualche modo dai manuali scolastici. Mi si consenta la brevità dell’excursus e di arrivare, con tutti i rischi del caso, alla versione cristiana del mito, ancora una volta un padre immortale ed una donna per generare quello che è l’eroe. Lasciamo a margine ogni considerazione sui confini tra teologia e mitologia per attraversare la formidabile immagine dell’eroe in Kant: il genio, che trova sviluppo, o involuzione, negli eroi hegeliani, “individui della storia del mondo” al servizio dell’astuzia della stessa per condurre l’umanità verso il fine che sempre lei, ragione e storia possono sovrapporsi, ha già necessariamente predeterminato. Oggi, nell’epoca della pseudo informazione accessibile a tutti, si tende a riconoscere l’eroe in chi si sacrifica per il bene collettivo, quante volte abbiamo sentito celebrare “l’anonimo eroe che lotta contro il covid a rischio della propria vita”? Il medico o l’infermiere che si celebra e si scorda subito dopo. Oppure l’eroe è il nichilista solitario tratteggiato da Simone Regazzoni?
Credo sia utile una breve rincorsa tornando indietro di 10 mila anni per spiccare un salto a domani: alle origini l’individuo, inconsapevole di sé se non come comunità, una sorta di termite che si sa solo come termitaio, avvertiva la necessità di un dio – faraone – re – dittatore. L’essere superiore nel quale riconoscersi era, probabilmente, una sorta di possibilità di uscire dal magma anonimo della moltitudine e divenire uno, una via per la costruzione del sé. Conciliare la nascita dell’uno con la sopravvivenza del gruppo generò il rito e, nello specifico, quello che si definisce rito di passaggio. Entrare nell’età adulta richiedeva una prova di coraggio, insomma, dovevi dimostrare di essere un eroe. La ritualità omogeneizzante del rito tutelava la comunità ma, nel tempo, l’identificazione del singolo con il gruppo, non abbiamo modo in questa sede per seguirne l’affascinante percorso, lasciò spazio al convincimento che la dignità, l’autonomia e ancor di più l’autocoscienza del singolo potevano divenire estremamente pericolose per il “sistema-collettivo”. Nei secoli si svilupparono numerose strategie di autodifesa da parte del potere-stato-sistema, dalla religione all’arte, dalla politica al mercato, di volta in volta strategie più invasive e surrettizie e sempre meno individuabili dal singolo che le assorbiva intimamente divenendone parte. Eppure, ogni volta, il singolo affinava nuove competenze, di volta in volta nasceva qualcuno che veniva combattuto, anche ucciso, ma che lasciava un seme di libertà che, lentamente, cresceva e germogliava, così era indispensabile una nuova e più efficace strategia, sempre più ampia e sempre più occulta. Oggi l’eroe non può più essere quello indicato dalla Fallaci, il moderno eroe non può più nemmeno essere un falso anti-eroe come l’anonimo pompiere che muore per salvare una vita, al contrario. Nel rispetto delle tradizioni deve possedere due padri, uno mortale ed irrilevante ed uno divino, questo gli consente di essere superiore al comune mortale ma anche estremamente umano, lo colloca al di sopra della massa inneggiante ma lo mostra accessibile, insomma, “uno di noi”.
Il rito iniziatico, nell’era digitale, si è ridotto ad un semplice clic, basta un like e “velocemente” sei un neofita, in più tutto è molto “politicamente corretto”, non importa se sei maschio o femmina, ma nemmeno importa se sei stupido o intelligente, generoso o egoista, allegro o triste, ancor meno se sei un serial killer o un benefattore, se sei di destra o di sinistra, se ami il calcio o pratichi il vudù, se sei dello scorpione o fai l’alpinista, insomma, non sei nulla ma sei un like e poi, quanta libertà, nessun impegno, hai sempre una facile via d’uscita, protetto dallo schermo, un altro clic e te ne vai. D’altra parte sei entrato nel nulla ed è logico poterne uscire con disinvoltura sempre che tu rimanga quel nulla che ti consentirà di partecipare a qualsiasi altra anonimante comunità. Già, perché le comunità, di fatto anonimanti, dovrebbero fornirti un’identità, gli adepti non hanno dubbi al riguardo: “Bella zio, vuoi mettere? Un conto è se sei un liker di Fedez altro se lo sei di Smignauz”. Se solo si insegnasse decentemente la storia … come non riconoscere la circolarità ottusa di un percorso teso alla sopravvivenza del nulla-divino? Insomma: tutto cambia affinché non cambi nulla … e le masse applaudono soddisfatte.
Per molto tempo, dopo “la morte di dio” celebrata da Nietzsche, il divino è stato il denaro unito al sacro valore di suo fratello, il mercato; oggi l’incestuoso connubio ha generato “la rete”. Il “dio rete”, forse transgender, non lo vedi, non lo tocchi né lo annusi, ma esiste, nessuno lo può negare, il suo manifestarsi è inequivoco, perfetto nel ruolo del padre divino. È un dio popolare, si concede a tutti e tutti vi accedono, la preghiera è semplice, non richiede sacerdoti se non abili operatori, è sufficiente un clic. Ed ecco il nuovo garante del divino, il numero. Vuoi essere il nuovo eroe, vuoi essere un influencer? Bene, non serve che tu abbia doti di coraggio o simili, devi solo ottenere consensi, una volta raggiunto il numero necessario ogni tuo gesto assurgerà al ruolo di miracolo e tutti ti osanneranno. Speravo di poter risolvere in minor spazio l’argomentare in oggetto ma mi rendo conto che urge una comparazione accurata tra l’eroe classico e l’influencer e non mi resta che rimandare il lettore ad un prossimo appuntamento.
Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì.
Perchè non provare a consentirsi un “altro” punto di vista? Senza nessuna pretesa di sistematicità, ma con la massima onestà intellettuale, il curatore, che da sempre ricerca la libertà di pensiero, ogni settimana propone al lettore, partendo da frasi di autori e filosofi, “tracce per itinerari alternativi”. Per quanto sia possibile a chiunque, in quanto figlio del proprio pensiero.
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