La nazionale italiana si è qualificata ai quarti di finale grazie alla vittoria sull’Austria, ottenuta con le reti di Chiesa e Pessina nel primo tempo supplementare, che hanno vanificato il canto del cigno di Kalajdzic.
Di per sé questo basta per far scattare la festa. E ci mancherebbe altro. Ma la partita non è stata una cavalcata trionfale come quelle del girone. Dove l’Italia è stata bella, pulita e arrembante. Quello di ieri è stato un successo tormentato, non per questo meno appagante ma sicuramente più “didattico” rispetto alle dimostrazioni di abolita tecniche e tattiche messe in mostra contro Turchia, Svizzera e Galles.
L’Italia, che ha recitato in maniera spesso impeccabile la lezione in contesti “nei quali l’errore non era fatale” – leggasi qualificazioni e girone eliminatorio che lascia chance alla miglior terza -, ieri si è trovata di fronte al primo esame da dentro o fuori con davanti un membro esterno, non la rassicurante “classe di Roma”. Dopo un primo tempo tutto sommato positivo, nella ripresa sono saltati i piani e per qualche minuto abbiamo temuto che l’ironia del calcio avesse preso il sopravvento quando Arnautovic ha insaccato alle spalle di Donnarumma. Ma la fortuna era già stata abbastanza clemente con un giocatore che con appena tre presenze si è riempito il palmarès con il triplete dell’Inter. Quindi Var, rete annullata per fuorigioco e pericolo scampato.
Un successo che sicuramente avrà fatto storcere il naso a qualcuno viste le difficoltà incontrate contro gli austriaci e visto come eravamo abituati. Non bisogna però dimenticare che i grandi successi non sono quasi mai traversate nel mare calmo. Sono invece il frutto di saper navigare nella tempesta e domare le onde. Lo sanno bene Roberto Mancini e Gianluca Vialli, che nell’abbraccio sincero e quasi commovente in occasione dell’esultanza hanno riportato indietro di tre decenni tanti tifosi blucerchiati. Forse, vincere così, soffrendo come ieri o sorprendendo come con la Samp, è ancora più bello.