“Intorno agli inventori di nuovi valori ruota il mondo: ruota il mondo invisibile. Ma intorno ai commedianti ruotano il popolo e la fama: questo è il “corso del mondo”. Spirito ha il commediante, ma poca coscienza dello spirito. Sempre crede in ciò in cui riesce a far credere agli altri più fortemente, far credere in lui stesso”. Impossibile non avvertire l’incredibile attualità delle righe di F. W. Nietzsche estrapolate dallo Zarathustra ed, in particolare, dal brano che noma questo intervento. Affermati esegeti e “professoroni di professione” hanno vivisezionato ogni passo dell’opera del grande pensatore, questo suggerirebbe di evitare ulteriori contributi, non fosse altro che per non rischiare il confronto, ma se ben colgo il senso dell’aforisma, diviene opportuno agire in maniera del tutto diversa. Se proviamo a respirare l’aria sottile che abita le vette del pensiero di Nietzsche, dopo un primo capogiro inebriante, siamo indotti a cercare qualcuno che ce ne disveli le magiche proprietà. Ma risulta inevitabile constatare che questi “qualcuno”, come insegna il filosofo, sono proprio quelli che sono riusciti a far credere agli altri più fortemente in loro stessi, insomma, quelli che hanno raggiunto la fama del mercato. Ciò è prova della loro capacità di condividere l’ebrezza alpina della riflessione nietzscheana o la poca “coscienza dello spirito” che merita loro il successo nel mercato?
“Lontano dal mercato e dalla fama avvengono tutte le cose grandi: lontano dal mercato e dalla fama abitarono da sempre gli inventori di nuovi valori” … e se provassimo ad accostare la folgorante analisi nietzscheana al nostro quotidiano? Impossibile non riconoscerci come entità annichilite dal villaggio globale, dal mercato assoluto della rete, dalle gerarchie valoriali della quanti-qualificazione dei like, dalla logica della visibilità assolutamente sganciata dal contenuto dell’immagine proposta. Oggi ogni cosa, e sempre più piccola ed insignificante, avviene “vicino o dentro al mercato”, anzi, nulla può più esistere se non nel mercato. Precisiamo, inoltre, che oramai l’essere è l’apparire, che nulla esiste al di fuori di ciò che è il riflesso nemmeno di uno sguardo, ma dell’opaco osservare di una nullità sperduta che si occulta dietro uno schermo. Oggi qualcosa è nel momento in cui il virtuale le assegna la patente di realtà: come non cogliere il grottesco e paradossale ossimoro? Ed eccoli, tutti a correre alla ricerca del consenso, non importa da parte di chi, è sufficiente che siano numerosi; ed ancora eccoli ad affannarsi per comparire, che sia una trasmissione televisiva o il cellulare di qualche “inutile” poco conta, ed è così che, se non si presta attenzione, ben presto sarà impossibile anche a noi distinguerci dalle “mosche del mercato”. L’esortazione di Nietzsche è chiarissima: “Fuggi amico mio, nella tua solitudine: ti vedo trafitto da punture di mosche velenose. […] Vivesti troppo vicino ai piccini e ai miserabili. Sfuggi alla loro invisibile vendetta. Contro di te essi non sono altro che vendetta”.
È chiaro il senso dell’espressione “invisibile vendetta”? La criptica affermazione merita una breve riflessione: la vendetta è opera delle povere mosche velenose che, fuor di metafora, costituiscono gli abitanti anonimi del villaggio globale, gli enti omologati dall’anelito alla visibilità, le nullità che si riconoscono nel consenso del numero degli ignoti, dei “quantitari privati di ogni dignità esistenziale”, queste mosche velenose non possono accettare l’idea di essere tali e si imborotalcano di espressioni ahimè svuotate di senso, come: “noi siamo il popolo”, o anche, “la vera democrazia diretta siamo noi” … quali miserevoli autoinganni! Il borotalco del luogo comune attenua la puzza, forse, ma non il fatto che il cattivo odore sia la natura profonda di queste moltitudini. Come non comprendere la frustrazione più o meno consapevole che le muove? Quando queste mosche incontrano un essere umano non possono che avvertirne il senso, l’abisso del suo pensiero, ed allora non hanno che due alternative: o riconoscerne il profumo inebriante e desiderare di camminargli il più vicino possibile per intridersene, o bramare la vendetta! Poiché sei stato tu a sollevarti, sempre tu ad osservarmi malinconico dalle tue altezze, ancora tu a regalarmi la consapevolezza della mia mediocrità, che altro posso fare se non affliggerti con i miei morsi velenosi? Vendetta invisibile perché non si dichiara tale, non le è possibile, meglio allora proporsi come “volontà del popolo del buon senso”, così da scomparire come vendetta agli occhi della moltitudine stessa che la mette in atto.
Ma guardiamoci intorno: è questo il mondo che ci eravamo promessi? Possibile che ci si debba accontentare di sopravvivere abdicando alla vita? Possibile sentirsi gratificati dal nulla venduto sottocosto alla bancarella della banalità? Possibile abbassare a tal punto il nostro orizzonte fino a farlo coincidere con lo schermo del cellulare? Possibile credere davvero che il senso della nostra giornata sia la conquista del consenso da parte di chi non conosciamo e che addirittura abbiamo il terrore di incontrare realmente? Possibile ci spaventi a tal punto l’occasione di ascoltare la musica del nostro silenzio? Quando è stato che abbiamo cominciato a credere alla voce del mercato che ci sussurrava che siamo inetti mentre ad alta volume celebrava la festa del nostro quotidiano? Sono convinto che sia nostro diritto e, forse ancor di più, nostro dovere riappropriarci della nostra solitudine, è l’unica possibilità per incontrare noi stessi ed offrirsi l’occasione di incontrare gli altri. È il momento della “transvalutazione”, di riprendere possesso della nostra vita, di affermare la nostra dignità di esseri pensanti, capaci di amore e sogni e bassezze e lacrime e voli oltre i confini dell’ovvio che dilaga. Abbiamo polmoni capaci alla brezza sottile delle vette, perché accontentarci dell’aria viziata della vita pre-masticata? Perché anonimarci nel bolo insalivato da una volontà mediocre orfana del coraggio alla vita? Ecco allora che la conclusione del grande filosofo diviene un grido di speranza, anzi, di più, di fiducia in ognuno di noi: “Fuggi, amico mio, nella tua solitudine e là dove spira un’aria rude e forte”, ma non si tratta di una fuga vigliacca, bensì della rincorsa dentro di sé per ritrovare le proprie ali e poi correre per “lanciarsi verso un volo finalmente nostro, così che mille ali si incontrino in vertiginose parabole oltre l’estremo confine del possibile”.
Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì.
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