Regione. “Aperta dal Governo la caccia di selezione all’uomo”. Firmato dall’ex sindaco di Giustenice Ivano Rozzi, che ha voluto commentare così la possibilità di “selezione” in caso di aumento esponenziale dei casi di contagio da Covid-19, con conseguente crisi (in termini di risorse) per il sistema sanitario nazionale.
“Salvare i più giovani ha una sua logica. Certamente che chi ha lavorato una vita, pagando INPS ecc.. oggi dovrebbe vedersi restituito in qualche misura l’impegno. E invece? Probabilmente no. Ma anche se la vita è nostra, non sono nostre le ragioni della vita. Queste sono state fatte, come in natura spesso accade, perchè i più forti vadano avanti. E allora con tutta probabilità dopo questa drammatica fase cambierà tutto. Non è escluso che lo faccia in meglio”, il pensiero forte dell’ex primo cittadino.
In caso di squilibrio totale tra esigenze mediche e risorse, quel che è certo è che non si tratterebbe di “selezione naturale”, ma di “selezione medica”. Diverso nella forma, ma fin troppo simile, purtroppo, nella sostanza. È questo, nello scenario peggiore che potrebbe venirsi a creare a causa dell’emergenza Coronavirus, ciò che prevedono le linee guida mediche.

Lo si evince anche dal documento pubblicato da Siaarti (Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva) i cui contenuti appaiono inequivocabili e in cui si spiega la motivazione di eventuali decisioni in caso di scenario critico dal punto di vista degli intasamenti degli ospedali. Ovvero nel caso in cui, come purtroppo sta già accadendo in alcune regioni (vedi Lombardia), si dovesse creare uno squilibrio evidente ed eventualmente insormontabile tra esigenze mediche e risorse (troppi pazienti, pochi posti, personale medico insufficiente).
Questo probabilmente il passaggio chiave del documento “Come estensione del principio di proporzionalità delle cure, l’allocazione in un contesto di grave carenza (shortage) delle risorse sanitarie deve puntare a garantire i trattamenti di carattere intensivo ai pazienti con maggiori possibilità di successo terapeutico: si tratta dunque di privilegiare la ‘maggior speranza di vita’”.
Inoltre, “i criteri straordinari di ammissione e di dimissione sono flessibili e possono essere adattati localmente alla disponibilità di risorse, alla concreta possibilità di trasferire pazienti, al numero di accessi in atto o previsto. I criteri riguardano tutti i pazienti intensivi, non solo i pazienti infetti con infezione da Covid-19”.
“L’allocazione è una scelta complessa e molto delicata, anche per il fatto che un eccessivo aumento straordinario dei letti intensivi non garantirebbe cure adeguate ai singoli pazienti e distoglierebbe risorse, attenzione ed energie ai restanti pazienti ricoverati nelle Terapie Intensive. È da considerare anche l’aumento prevedibile della mortalità per condizioni cliniche non legate all’epidemia in corso, dovuta alla riduzione dell’attività chirurgica ed ambulatoriale elettiva e alla scarsità di risorse intensive”.
“Può rendersi necessario porre un limite di età all’ingresso in TI. Non si tratta di compiere scelte meramente di valore, ma di riservare risorse che potrebbero essere scarsissime a chi ha in primis più probabilità di sopravvivenza e secondariamente a chi può avere più anni di vita salvata, in un’ottica di massimizzazione dei benefici per il maggior numero di persone. In uno scenario di saturazione totale delle risorse intensive, decidere di mantenere un criterio di ‘first come, first served’ equivarrebbe comunque a scegliere di non curare gli eventuali pazienti successivi che rimarrebbero esclusi dalla Terapia Intensiva”.
“La presenza di comorbidità e lo status funzionale devono essere attentamente valutati, in aggiunta all’età anagrafica. È ipotizzabile che un decorso relativamente breve in persone sane diventi potenzialmente più lungo e quindi più ‘resource consuming’ sul servizio sanitario nel caso di pazienti anziani, fragili o con comorbidità severa”.
Questo cosa significa? Che in caso di eccesso di richieste di ricovero ospedaliero in relazione alla risorse disponibili, sarà fatta per forza di cose una sorta di “selezione medica”, che prevede ricovero e cure per i pazienti non in base al momento del loro arrivo (quindi con un “ordine stabilito”) bensì in base al principio di “chi ha più possibilità di sopravvivenza”.
Se dovessero finire i posti in terapia intensiva e/o in rianimazione, all’arrivo di un 60enne con problemi pregressi e di un 50enne senza alcun’altra patologia, ad esempio, sarà privilegiato l’accesso del secondo a dispetto del primo.
“Dalle informazioni ad ora disponibili, – si legge ancora, – una parte consistente di soggetti con diagnosi di infezione da Covid-19 richiede supporto ventilatorio a causa di una polmonite interstiziale caratterizzata da ipossiemia severa. L’interstiziopatia è potenzialmente reversibile, ma la fase di acuzie può durare molti giorni”.
“A differenza di quadri di ARDS più familiari, a parità di ipossiemia, le polmoniti da Covid-19 sembrano avere compliance polmonare leggermente migliore e rispondere meglio a reclutamenti, PEEP medio- alte, cicli di pronazione, ossido nitrico inalatorio. Come per i quadri più noti di ARDS abituali, questi pazienti richiedono una ventilazione protettiva, con bassa driving pressure”.
“Tutto questo comporta il fatto che l’intensità di cura può essere elevata, così come l’impiego di risorse umane.
Dai dati riferiti alle prime due settimane in Italia, circa un decimo dei pazienti infetti richiede un trattamento intensivo con ventilazione assistita, invasiva o non invasiva”.
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