Albenga. Con l’odore del fango che ti entrava nell’anima e non ti faceva respirare. Con l’acqua che continuava la sua corsa distruggendo tutto: auto, box e cantine dopo che il Centa era straripato facendo vedere quanto era potente e pericoloso.
Quel sabato 5 novembre 1994 gli albenganesi avevano le lacrime agli occhi guardando il cielo che continuava a rovesciare senza mai fermarsi acqua nera e sporca sulla città finita in ginocchio. Difficile dimenticare quel giorno anche 22 anni dopo.
Il fiume era diventato minaccioso già a metà pomeriggio. Si scatenò all’improvviso rompendo gli argini, buttando giù come un castello fatto di carte il ponte di ferro che collegava il centro a Vadino. Interrotta l’Aurelia, interrotta la linea ferroviaria, una mareggiata mai vista che aveva oscurato all’improvviso l’isola Gallinara e cancellato la spiaggia di viale Italia. Sembrava di essere in guerra.
L’acqua aveva percorso i vicoli del centro storico trasformandoli in tanti piccoli ruscelli. Ad ogni angolo delle strade c’erano i commercianti che faticavano a proteggere i negozi. Albenga si era trasformata praticamente in una cittadina lagunare. Quel giorno si ascoltava la radio locale per avere informazioni con un sindaco, Angioletto Viveri, che si prodigava a difendere la città che subiva colpi violentissimi per un nubifragio che non sembrava finire mai. Il cielo mitragliava pioggia di continuo, senza un attimo di tregua.
All’epoca non c’erano allerte meteo gialle, arancioni o rosse. I telefonini erano cosa rara. C’erano i volontari della protezione civile, i vigili urbani, i cantonieri del Comune che correvano da una parte all’altra di Albenga devastata dal fango. Alla radio venivano diffuse notizie da finimondo che arrivano con il contagocce tra mille black out e telefoni in tilt praticamente da tutti i quartieri. Strade impraticabili e al buio.
La “normale pioggia” di novembre era iniziata a diventare troppa per essere pioggia di quel periodo. Saltarono i tombini, strade allagate e automobilisti in difficoltà a mettersi in salvo, a raggiungere zone più sicure. Albenganesi in trappola con l’acqua che spingeva tronchi, rifiuti di cassonetti rovesciati diventati come proiettili.
Il Centa, dopo aver rotto gli argini, uscì, all’altezza dello stadio di quel maledetto sabato di novembre che da allora, per 22 anni, ha segnato la vita degli albenganesi che non possono dimenticare. Oggi lo ricordano in tanti quel giorno del 1994 con post che si rincorrono sui social network. “Ti ricordi quel giorno?”, “Che paura con tutta quell’acqua e quel fango per le strade, era arrivata la fine del mondo”.
Ma il vero simbolo di quell’alluvione è ancora oggi il ponte rosso che domina sul Centa. Fu fatto costruire da Angioletto Viveri scontrandosi con Regione e Ministeri che volevano salvaguardare la necropoli ingauna attorno al Centa. Indelebile nella memoria degli assessori che facevano quadrato intorno a Viveri e dei cronisti una telefonata all’allora ministro dei Trasporti Claudio Burlando: “Claudio, dammi una mano tu perché per la Sovrintendenza sono più importanti i morti che i vivi”. Il ponte venne costruito e inaugurato l’anno successivo (il 24 dicembre 1995) e oggi il centro è unito a Vadino anche in una giornata da meteo allerta gialla grazie ad un sindaco che voleva davvero bene alla sua città e alla sua gente.