Savona. “Lasciate liberi i ragazzi di esprimere estro e fantasia: non limitate il talento con esasperati tatticismi”: l’ex bomber del Milan e della Roma, nonchè del Savona, Pierino Prati, invita gli allenatori a valorizzare le “qualità tecniche” dei giovani calciatori.
L’esortazione, più che mai condivisa da chi scrive, è stata esternata a Roma, presso il circolo sportivo Lanciani di via Pietralata, nel corso di una speciale giornata amarcord organizzata dal maestro di sport Alessandro Conforti.
“E’ essenziale lasciare la libertà di scelta ai giovani calciatori con la palla al piede – ha proseguito l’indimenticato goleador biancoblù – non bisogna soffocare l’idea del bambino ma occorre accompagnarlo nel suo cammino di crescita senza limitarne le potenzialità. I giovani devono avere la possibilità di esprimersi senza pressioni da parte degli istruttori e delle famiglie, altrimenti negli anni successivi abbandoneranno la pratica sportiva perché non assaporeranno più il divertimento. Devono giocare e migliorare sempre divertendosi. Occorre saper individuare le qualità dei giovani e farle emergere nel corso degli anni, rispettando le sue esigenze e guidandolo nelle tappe di crescita”.
Attualmente testimonial del Milan e supervisore tecnico nel settore giovanile rossonero, l’ex cannoniere insegna da anni la tecnica di base ai piccoli calciatori. Lui che è stato da calciatore un esempio assoluto di tecnica calcistica, avendo segnato oltre 140 gol in Serie A indifferentemente di destro, di sinistro e di testa. Indimenticabile la sua tripletta nella finale di Coppa Campioni nel 1969 contro l’Ajax di Cruijff. Era il Milan del futuro pallone d’oro Gianni Rivera che saliva sul tetto più alto del mondo vincendo infatti anche la Coppa Intercontinentale contro l’Estudiantes.
In maglia rossonera Pierino Prati ha totalizzato 209 presenze, segnando oltre 100 gol, laureandosi capocannoniere delle Serie A nella stagione 1967-68 con 15 reti. Ma nella sua bacheca con il Milan ci sono anche 2 Coppe delle Coppe e 3 Coppe Italia. Oltre che vincere l’Europeo del 1968 con la Nazionale. Fece inoltre parte anche della spedizione azzurra ai Mondiali di Messico 1970. Con la Roma ha disputato quattro stagioni, dal ’73 al ’77, segnando 41 gol in 102 presenze, lasciando un ricordo indelebile anche nei tifosi giallorossi.
“Il mister Nereo Rocco – ha proseguito nell’occasione citata – aveva assemblato una squadra senza guardare la carta di identità con giocatori sui trentanni che a quei tempi erano considerati quasi a fine carriera, ma scegliendo la qualità dei singoli in ogni reparto con gli innesti di Cudicini, Malatrasi e Hamrin che s’inserirono alla perfezione nel gruppo insieme a giocatori come Trapattoni, Anquilletti, Schnellinger, Rosato, Lodetti, Sormani, i più giovani praticamente eravamo io ed il grande capitano Gianni Rivera. Era un gruppo forte, affiatato e ben amalgamato. Dentro lo spogliatoio non facevamo la lavagna: si entrava in campo ognuno consapevole del proprio ruolo, cercando di valorizzare le proprie qualità al servizio della squadra. Vincemmo il campionato con 4 giornate di anticipo. Ma in Europa e nel Mondo che riuscimmo a vincere tutto: fu un ciclo strepitoso”.
Durante l’incontro qualcuno dei mister presenti ha provato a fargli confrontare il ciclo del Milan di Rocco con quello di Arrigo Sacchi che di lavagna invece ne faceva davvero tanta in allenamento e nel pre-partita. Questa la domanda: che sfida sarebbe stata?
“Difficile se non impossibile mettere a confronto due epoche diverse: l’era di Sacchi è stata caratterizzata dal pressing asfissiante, dove in sette secondi dovevi togliere palla all’avversario, il nostro era un calcio meno veloce e aggressivo ma emergeva l’estro in campo. Certo sarebbe stata una sfida affascinante contro quel Milan degli anni ’90. Due squadre che hanno scritto la più bella storia del Milan”.
Nel Milan di Sacchi c’erano i talenti che uscivano dal settore giovanile, Maldini e Baresi su tutti; negli ultimi anni le società hanno investito meno sui vivai: cosa ne pensa?
“Come Milan abbiamo sempre creduto nel progetto giovani, ma è chiaro che non puoi avere la pretesa di costruire un campione, perché giocatore di talento ci si nasce. Puoi migliorare ed affinare le doti tecniche dei ragazzi con un attento e paziente lavoro, ma non tutte le annate sono uguali. Sicuramente la globalizzazione non ha aiutato i giovani italiani ad imporsi nei campionati maggiori, anche aggressività ed intensità nelle prime squadre sono andati a discapito alcune volte di quei giocatori con più doti tecniche e meno qualità fisico-atletiche. Oggigiorno anche nelle categorie minori si tende con la fisicità a mettere in difficoltà l’avversario più bravo. Ma il settore giovanile deve prescindere da tutto questo, occorre esclusivamente puntare sulla tecnica di base finalizzata ad un contesto tattico nella maturazione del calciatore. Ma senza la tecnica di base non si arriva da nessuna parte: questo è il mio pensiero (ndr, che condividiamo di certo) ed è pertanto attraverso questo messaggio che invito tutti gli allenatori delle giovanili a valorizzare i giovani talenti insegnando la tecnica calcistica“.