Savona. Colpo di scena questa mattina nel processo che vede a giudizio due medici per la morte di una settentenne dopo il ricovero nella struttura “La Villa” di Varazze. Questa mattina in aula è stato ascoltato lo specialista torinese Lorenzo Varetto, nominato dal giudice, che, di fatto, nella sua perizia medico legale ha escluso che ci siano responsabilità da parte dei medici della struttura varazzina (a giudizio ci sono il direttore sanitario, G.T., e uno dei sanitari, E.C.).
L’esperto ha concordato con i consulenti del pubblico ministero per quanto riguarda le cause della morte (un sovradosaggio del farmaco “metformina” che avrebbe portato ad una “grave acidosi metabolica lattacidemica”), ma ha sollevato dubbi sulle responsabilità imputate ai medici. In sintesi, secondo Varetto, i sanitari della struttura di Varazze, dove la donna era stata trasferita direttamente dall’ospedale di Savona, viste le informazioni ricevute dai colleghi sul quadro clinico della paziente non potevano diagnosticare l’insufficienza renale che, unita all’assunzione del farmaco, si è purtroppo rivelata fatale.
Il caso risale al settembre del 2012 quando una signora di 73 anni, Caterina Araco, si era rotta un ginocchio ed era stata ricoverata all’ospedale e poi trasferita nella residenza protetta per terminare la degenza. La paziente era morta però due settimane dopo, il 14 settembre del 2012, quando erano trascorsi sette giorni dal suo ingresso ne la “La Villa”. I famigliari della donna (parte civile nel processo con l’assistenza dell’avvocato Giovanni Maglione) avevano presentato un esposto-denuncia che aveva portato la Procura ad aprire un’indagine per omicidio colposo.
I medici della rsa varazzina (difesi dall’avvocato Franco Aglietto), secondo l’accusa, in concorso e con ruoli diversi, somministrando una terapia errata, avrebbero causato la morte della paziente, che soffriva di diabete mellito di tipo 2. In particolare, come stabilito dall’autopsia e dalla successiva perizia medico legale, la signora era morta per uno “shock da bassa portata”, dovuto ad un sovradosaggio del farmaco “metformina” che avrebbe portato ad una “grave acidosi metabolica lattacidemica” unita ad una “insufficienza renale acuta”. Una complicanza che, per il sostituto procuratore Giovanni Battista Ferro, era intervenuta perché i sanitari della struttura non avevano modificato la terapia davanti ad alcuni sintomi della signora che avrebbero dovuto (sempre secondo l’accusa) fargli modificare la posologia del farmaco antidiabete.
Una tesi che è sempre stata contestata dalla difesa secondo cui i medici hanno agito correttamente sulla base delle informazioni in loro possesso. “I miei assistiti non avevano motivo di pensare che potesse esserci un’insufficienza renale visto che la metformina è un farmaco da non somministrare ai pazienti con questa problematica. Nella cartella della signora, tra l’altro, non c’era nessun elemento che potesse far sospettare che ci fossero problemi ai reni” ha precisato l’avvocato Aglietto.
Dopo la deposizione del perito del giudice il processo è stato rinviato al prossimo 11 gennaio quando è prevista la discussione e, probabilmente, la sentenza.