Paziente morta

Processo al dottor Piccardo, la parte civile: “Caso che sfiora l’omicidio preterintenzionale”

L'avvocato Badella ha ribadito le accuse al medico: "Sapeva benissimo che la paziente non andava operata"

tribunale Savona aula

Savona.  “Una volta analizzato questo caso credo si possa dire che mai nel campo della responsabilità sanitaria abbiamo avuto davanti un fatto così grave. E’ vero che capita di incappare in errori, ma i medici sbagliano in buona fede. In questo caso non è così, non siamo davanti ad una scelta impropria fatta in buona fede: questo caso sfiora l’omicidio preterintenzionale”. E’ iniziata così la discussione dell’avvocato Massimo Badella, legale di parte civile, nel processo che vede a giudizio il dottor Andrea Piccardo per omicidio colposo per la morte di una paziente, Rosa Pera Moraglio, scomparsa dopo aver subito un intervento chirurgico per rimuovere una cisti renale nell’ospedale di Cairo Montenotte.

Il legale di parte civile, che ha usato toni molto severi nel suo intervento, ha accusato il medico di aver operato pur sapendo che non fosse necessario: “Piccardo confidava nel fatto che la signora non morisse, ma sapeva benissimo che non andava operata. Potrebbe averlo fatto per tre motivi: per esercitare la sua manualità, per aggiungere un altra ‘tacca’ alla sua lunga lista di interventi oppure per aiutare l’ospedale a tirarsi su. E’ noto che in quel periodo Cairo non andava benissimo, rischiava di essere ridimensionato e quindi c’era bisogno di far vedere che lavorava”.

“I figli hanno confermato che l’intervento è stato ‘venduto’ alla mamma come una cosa di routine. E la signora infatti non era preoccupata, ma nessuno le aveva parlato di rischi o controindicazioni. Invece la signora muore e allora Piccardo si attiva e fa due cose: altera cartella e inizia a far emergere il suo convincimento che la signora fosse gravemente malata di tumore. Insomma la natura dell’intervento a posteriori cambia” ha osservato Badella che ha anche aggiunto: “Se il medico fosse venuto qui a dire che era convinto di dover operare la cisti renale sarebbe una colpa grave, ma pur sempre solo una colpa. Invece dalle sue stesse parole emerge la malafede. Se avesse davvero avuto paura che ci fosse tumore avrebbe dovuto fare altri esami, non certo l’intervento”.

“Lui ha mentito e la signora ha pagato caro questo atto. Solo dopo l’intervento il dottor Piccardo ha parlato per la prima volta del tumore e poi falsifica la cartella. Sono stati aggiunti tre dati usati in malafede per giustificare intervento. Ha scritto che c’era un calo ponderale di dieci chili in un mese, ma la paziente al pronto soccorso aveva dichiarato che aveva perso quel peso nell’arco di un anno. Poi ha parlato di cachessia della paziente, ma non è questione di valutazione. Esiste una definizione ben precisa di quello stato ed è pacifico che la signora non era cachettica. Quello era un altro tentativo di mistificare la reale situazione” ha spiegato ancora l’avvocato di parte civile.

Al termine della sua discussione il legale ha chiesto al giudice di riconoscere per i suoi assistiti, i due figli ed il marito della signora, una somma di 327 mila euro per ciascuno a titolo di provvisionale rispetto al maggior danno che sarà da quantificare in sede civile.

 

 

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