La sentenza

Paziente morta dopo la rimozione di una cisti: il dottor Piccardo condannato a tre anni e sei mesi

Il giudice gli ha anche inflitto un'interdizione di 5 anni e ha disposto il pagamento di una provvisionale da 900 mila euro per la parte civile

Andrea Piccardo

Savona. Il medico Andrea Piccardo è stato condannato a tre anni e mezzo di reclusione e cinque anni di interdizione dai pubblici uffici per omicidio colposo nell’ambito del processo per la morte di una paziente, la signora Rosa Pera Moraglio, scomparsa nel 2009 dopo aver subito un intervento chirurgico per rimuovere una cisti renale nell’ospedale di Cairo Montenotte.

La sentenza è arrivata nel pomeriggio di oggi dopo che stamattina era stata conclusa la discussione iniziata ieri. Il giudice Marco Canepa ha accolto in toto le richieste di condanna avanzate dal pm Giovanni Battista Ferro e, per quanto riguarda la parte civile, ha disposto il pagamento di una provvisionale totale di 900 mila euro per il marito e i due figli della signora (il resto del danno sarà da quantificare in sede civile) che sono stati assistiti dall’avvocato Massimo Badella insieme al collega Amedeo Caratti.

Anche se per conoscere le motivazioni esatte del verdetto bisognerà attendere trenta giorni per il deposito della sentenza, vista la pena severa inflitta a Piccardo, è presumibile che il giudice abbia ritenuto fondato l’impianto accusatorio secondo cui l’intervento chirurgico non era necessario e ha provocato la morte della paziente.

Una tesi che questa mattina è stata contestata con determinazione dal legale di Piccardo, l’avvocato Elena Castagneto che, attraverso un’arringa difensiva articolata in sette punti, ha confutato le contestazioni mosse al suo assistito. Il primo concetto chiamato in causa nella discussione è “l’assenza del nesso di causalità tra l’intervento e il decesso della paziente”, ma il difensore si è soffermato anche sulle cause della morte (“un infarto”) ribadendo che non c’è un collegamento diretto con l’operazione. Secondo la difesa inoltre il dottor Piccardo, che all’epoca dei fatti contestati era primario di chirurgia a Cairo, non poteva rendersi conto della situazione compromessa del cuore: “Sia il cardiologo che l’anestesista non avevano riscontrato rischi in riferimento all’intervento”.

A sostegno della sua tesi il legale di Piccardo ha anche fatto riferimento alla perizia redatta dal consulente dell’accusa secondo cui “non si può affermare con certezza né con alta probabilità che in caso di condotta diversa dei sanitari l’exitus sarebbe stato diverso”.

Non sono mancate poi da parte dell’avvocato Castagneto dure repliche alle parole del pubblico ministero e della parte civile: “Quando Piccardo ha parlato di una cisti di venti centimetri è stato dileggiato, quasi deriso, ma il documento dell’esame cistoscopico redatto dalla patologa parla di una voluminosa cisti del diametro di 20 centimetri” ha detto il legale con tanto di righello in mano per rendere l’idea della misura.

“Quando lui ha parlato di una mostruosità quindi, sebbene usando termini forti, voleva solo rappresentare la verità” ha aggiunto il difensore che ha anche criticato la scelta della parte civile di consegnare al giudice un patteggiamento ed un rinvio a giudizio relativi ad altri procedimenti che coinvolgono Piccardo: “Se passasse questa linea allora dovrei portare in aula tutte le centinaia di persone alle quali il mio assistito ha salvato la vita o che ha operato con successo”. Infine il legale ha definito la richiesta di condanna avanzata dal pm Ferro “abnorme” concludendo la discussione aggiungendo: “Chi ha mai visto richieste del genere per una colpa medica? Sono roboanti, altisonanti e credo mettano a disagio il giudicante”.

Tesi difensive che non sono state però accolte dal giudice Marco Canepa che, dopo quasi tre ore di camera di consiglio, ha emesso la sentenza di condanna.

Un verdetto sul quale il legale della famiglia di Rosa Pera Moraglio, l’avvocato Massimo Badella, si è limitato a dire: “Questa è una vicenda umana prima che giuridica, ma questi ragazzi – i figli della signora hanno sempre seguito in prima persona il processo ed erano presenti anche alla lettura della sentenza, ndrhanno avuto giustizia per la loro mamma. Sono soddisfatto che la verità sia emersa anche se purtroppo non si può tornare indietro. Credo che l’entità della condanna dimostri la gravità della colpa”.

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