Verso la sentenza

Paziente morta dopo rimozione di una cisti: chiesti 3 anni e sei mesi per il dottor Piccardo

Durissima requisitoria del pm, il legale di parte civile chiede risarcimento milionario e la difesa nega ci sia un nesso tra intervento e morte della donna

Andrea Piccardo

Savona. Una condanna a tre anni e sei mesi di reclusione. E’ la richiesta di pena avanzata oggi in tribunale dal pm Giovanni Battista Ferro per il dottor Andrea Piccardo. Il medico è a giudizio con l’accusa di omicidio colposo per la morte di una paziente, la signora Rosa Pera Moraglio, scomparsa nel 2009 dopo aver subito un intervento chirurgico per rimuovere una cisti renale nell’ospedale di Cairo Montenotte.

Il pubblico ministero non ha avuto dubbi nel chiedere una pena, che nella sua requisitoria ha definito “importante”, per l’imputato che, secondo l’accusa, ha eseguito un intervento “inappropriato, inadeguato, non indicato e inutile” che ha provocato la morte della paziente.

Una tesi sposata appieno dal legale di parte civile, l’avvocato Massimo Badella, che ha chiesto al giudice di riconoscere per i suoi assistiti, i due figli ed il marito della signora, una somma di 327 mila euro per ciascuno a titolo di provvisionale rispetto al maggior danno che sarà da quantificare in sede civile.

Il difensore del dottor Piccardo, l’avvocato Elena Castagneto, per problemi di tempo (l’udienza è continuata fino alle 17 di oggi pomeriggio) non ha potuto iniziare la sua discussione che è stata posticipata a domani mattina. A margine dell’udienza, il, legale ha comunque anticipato i concetti chiave della sua linea difensiva: “C’è la totale mancanza di nesso causale tra l’intervento e il decesso della paziente. Le perizie hanno escluso che ci fosse. La causa della morte è stata un infarto, ma la signora aveva problemi cardiaci preesistenti rispetto all’operazione. Problemi della cui esistenza il dottor Piccardo (all’epoca primario di chirurgia di Cairo, ndr) non poteva rendersi conto: prima dell’intervento aveva richiesto un elettrocardiogramma ed era risultato negativo, ma aveva chiesto anche il consulto dell’anestesista. Sia il cardiologo che l’altro collega non avevano riscontrato problematiche ad operare e di conseguenza il mio assistito aveva effettuato l’intervento”.

Sull’opportunità o meno di effettuare l’operazione, uno dei punti cardine intorno al quale si è mosso il processo (nella scorsa udienza lo stesso Piccardo aveva ammesso di essere conscio che la cisti poteva “stare lì” senza causare problemi alla paziente), l’avvocato Castagneto ha sottolineato come non debba essere oggetto di discussione: “Appurato che non c’è un nesso causale tra l’intervento e la morte allora non è importante se l’intervento fosse indicato o meno”.

Se per la difesa è pacifico che non ci sia un nesso causale tra l’operazione e la morte della paziente, accusa e parte civile sostengono invece il contrario: “La signora Pera Moraglio è morta perché indebitamente operata” ha ribadito il pm Ferro.

“Ci sono diverse prove documentali che dimostrano l’impianto accusatorio. Il problema cardiaco è insorto dopo l’operazione e in quel momento è emersa la malafede dell’imputato che, come evidenziato dalla perizia del dottor Testi, ha corretto la cartella clinica. I documenti sono stati manomessi e ritoccati in tre punti perché Piccardo, preso atto dell’evidenza di ciò che è accaduto, ha cercato di correre ai ripari” ha spiegato il pubblico ministero che ha chiesto anche la trasmissione degli atti per valutare la posizione del medico rispetto all’alterazione della cartella.

“Trovo che ci sia sia un’incoerenza intrinseca nelle dichiarazioni dell’imputato che ha tradito a più riprese il suo giuramento. Purtroppo anche una pesante condanna non potrà riconsegnare la paziente ai suoi cari” ha concluso Ferro.

Ancora più severe sono state le conclusioni dell’avvocato di parte civile Massimo Badella: “Una volta analizzato questo caso credo si possa dire che mai nel campo della responsabilità sanitaria abbiamo avuto davanti un fatto così grave. E’ vero che capita di incappare in errori, ma i medici sbagliano in buona fede. In questo caso non è così, non siamo davanti ad una scelta impropria fatta in buona fede: questo caso sfiora l’omicidio preterintenzionale”.

 

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