Albenga. Nel novembre del 2013, in udienza preliminare, i sei medici coinvolti nell’inchiesta per la morte di Luca Graziani, il papà albenganese di 33 anni stroncato nell’aprile del 2011 da una meningite fulminante di forma batterica, erano stati tutti prosciolti. Venerdì scorso quel verdetto è stato confermato dalla Corte di Cassazione che ha rigettato il ricorso presentato dalla parte civile, i famigliari dell’uomo (assistiti dall’avvocato Graziano Aschero).
Il pronunciamento della Corte Suprema scrive quindi la parola “fine” su questa vicenda giudiziaria visto che la sentenza di non luogo a procedere emessa dal giudice Emilio Fois non sarà più impugnabile.
Alla base della decisione del gup del tribunale di Savona c’era l’esito della perizia del medico legale che non aveva individuato un nesso di causalità tra la condotta dei medici (assistiti dagli avvocati Paolo Gianatti, Fausto Mazzitelli e Camillo Lavatelli) e il decesso del paziente. Secondo il consulente, la patologia che aveva colpito Graziani sarebbe stata comunque fatale, anche se diagnosticata tempestivamente. Motivo per il quale la condotta dei medici (che secondo l’accusa era errata) non avrebbe influito “sull’evento morte.”
Nel mirino della Procura, tutti con l’accusa di omicidio colposo in concorso, erano finiti due medici del pronto soccorso di Albenga (R.G., 49 anni, e A.F., di 40, che avevano assistito Graziani al momento dell’ingresso nel nosocomio ingauno), un medico di guardia (A.F., di 42), gli anestesisti di turno quella notte (D.P., di 47, e G.F., di 55) ed il direttore del dipartimento emergenza (A.A., di 64).