Cairo M. Un campione dice addio. Non si tratta di un calciatore di serie A – anche se i campi del grande calcio li ha sfiorati – ma di un giocatore che a livello dilettantistico può, a buon titolo, fregiarsi dell’appellativo che si riconosce a pochi.
Matteo Solari, 38 anni ad agosto, dice stop e appende gli “adorati” scarpini al chiodo. Lo farà al fischio finale della partita con il Ligorna o al suo ingresso in campo se mister Giribone, compagno di tante battaglie, gli concederà l’onore della standing ovation.
E, per Solari, sarà la fine di una lunga carriera calcistica costellata da grandi soddisfazioni – a 18 anni è aggregato alla Sampdoria di Eriksson dopo aver fatto tutta la trafila nelle giovanili del club di cui è anche tifoso – e grandi cadute – due gli infortuni al ginocchio che fermano il volo del centrocampista nato e cresciuto calcisticamente in Valbormida.
Vent’anni di calcio in cui il mondo del calcio è cambiato. E non solo quello.
“Sensazioni? Belle, sono contento – esordisce Matteo Solari – Ques’anno, di fatto, ero già quasi allenatore ma domani volevo salutare tutti. Rimpianti? Un ragazzo di 20 anni che arriva nel grande calcio e deve abbandonare il sogno per gli infortuni deve avere una grande forza per reagire. E io credo di averla avuta”.
Una carriera con tante partite, tanti compagni e tanti allenatori: “Se deve dire grazie a qualche persona lo dico ai miei genitori che hanno fatto tanti sacrifici per portarmi agli allenamenti e a Carlo Pizzorno che mi ha dato l’occasione per farmi vedere. E, poi, a Daniele Fortunato, l’allenatore che ho avuto a Cuneo.
Un ottimo tecnico e una persona con la schiena dritta, che ha il coraggio delle proprie idee e non ha paura di difenderle. Anche altri allenatori hanno segnato la mia carriera ma da lui ho appreso tanto”, conclude Solari.
Un ritratto, quello di Daniele Fortunato che, aggiungiamo noi, assomiglia tanto a quello del centrocampista della Cairese.
Domani l’addio con una festa semplice Ma il saluto più bello al mondo del calcio l’ha scritto lo stesso Solari qualche ora fa sul suo profilo facebook.
Un lungo immaginario viaggio a ritroso: dagli allenamenti con i giovani della Samp, al giro per l’Italia alla ricerca della realizzazione di un sogno di un bambino che, piano piano, cresceva fino al periodo a Cairo.
Ai derbies con la Carcarese – memorabile quello valevole per la promozione con Solari “costretto” a vivere la partita decisiva al “Corrent” con i tifosi per squalifica prima di scendere in campo per la festa con i compagni
Con una promessa finale: “Passare dall’altra parte dello steccato e ricambiare il ‘favore’ che tante persone che ho incontrato da quando ero ragazzino fino ad oggi, hanno fatto a me…”.
Il saluto al calcio di Matteo Solari. Domenica sarà l’ultima. L’ultima volta che mi metterò i miei adorati scarpini ai piedi per scendere in campo da giocatore. È vero che già quest’anno sono stato più di la che di qua, facendo più che altro da secondo al mio amico Matteo, ma una parte di me era ancora giocatore, sempre pronta allorché ce ne fosse stato bisogno… Ma da domani non sarà più così. Si chiude dopo più di 20 anni la parentesi più bella, difficile, impegnativa, straordinaria che un ragazzo che gioca a calcio possa vivere… Avevo 12 anni quando mio papà mi portava a Genova tutti i giorni appena uscito da scuola per andare agli allenamenti… Ho ricordi meravigliosi dei miei 7 anni di settore giovanile alla Samp, l’esordio con i grandi giocatori, gli allenamenti con i campioni che oggi stanno facendo la storia del nostro calcio. Ho imparato a vivere secondo le regole che lo sport di squadra ti dà. Regole di amicizia, rispetto, allegria, ma anche di grande rigore ed impegno, perché per essere una parte importante di una squadra bisogna sudare e fare tanta fatica. Il calcio mi ha fatto conoscere centinaia di amici in giro per l’Italia e oltre, compagni di squadra ed avversari, molti siete qui su Facebook, da tutti ho imparato qualcosa,sia dentro che fuori dallo spogliatoio. Condividere un campo di calcio è molto di più di quello che si possa pensare. Un campo da gioco è una metafora della vita, quello che sei lì dentro , lo sei pure fuori. Ci vuole rispetto,coraggio, grinta, dedizione,sacrificio,voglia di non voler mollare mai, cercare di vincere rispettando le regole. Il calcio crea degli uomini con ideali sani, non il contrario. Chi non rispetta le regole si autoelimina.
Oggi che smetto mi rendo conto di aver attraversato un’epoca in cui tantissime cose sono cambiate. Ma è la società che è cambiata, non il calcio. Lui è rimasto uguale nella sua essenza, se vuoi avere risultati , devi sgobbare e sudare parecchio. Nessuno ti regala niente come è giusto che sia. Se cadi , la forza di rialzarti la devi trovare dentro di te, ed io che mi sono operato 6 volte ai legamenti delle ginocchia lo posso dire: se ci credi davvero ce la puoi fare. Sono passato dalla serie A e C1 al nulla. A 24 anni sono ripartito dai dilettanti e sono tornato a fare il professionista ripartendo da zero, solo con la voglia che i miei genitori da un lato e i miei allenatori da un altro, mi hanno insegnato. Se mi sono rialzato così tante volte è stato grazie alla forza dell’esempio che mio padre mi ha dato ogni giorno e ho avuto sempre davanti agli occhi. Ora che ho quasi 38 anni, ho una figlia meravigliosa e il mio papà non c’è più, dopo quasi 500 partite giocate in ogni campo e in ogni serie,tante grandi vittorie e qualche cocente sconfitta,straordinarie battaglie combattute in ogni condizione, sono pronto a passare dall’altra parte dello steccato e ricambiare il “favore”che tante persone che ho incontrato da quando ero ragazzino fino ad oggi,hanno fatto a me…







