Savona E’ ripreso con un rinvio il processo per la morte in seguito ad un intervento chirurgico di una paziente che vede imputato il dottor Andrea Piccardo, all’epoca dei fatti primario del reparto di Chirurgia dell’opedale di Cairo Montenotte dove la signora fu operata. Questa mattina in aula dovevano essere sentiti proprio il dottor Piccardo e i periti di parte, ma a causa dell’impedimento del consulente della difesa il processe è stato rinviato al prossimo novembre.
La paziente, Rosa Pera Moraglio, era deceduta nel febbraio 2009, a 67 anni, mentre era ricoverata a Cairo. L’inchiesta, che ha poi portato al rinvio a giudizio di Piccardo, aveva preso le mosse da un’esposto della famiglia della donna (che ora si è costituita parte civile assistita dagli avvocati Caratti e Badella). Secondo quanto accertato all’epoca del fatto, quando erano state sequestrate le cartelle cliniche e la Procura aveva aperto un fascicolo, la donna, che era pensionata ed abitava a Cairo, morì il giorno successivo ad un’operazione per asportare una cisti al rene. Era stato lo stesso primario del reparto Chirurgia, il dottor Piccardo, a chiedere alla direzione sanitaria dell’Asl l’autorizzazione per far eseguire l’autopsia allo scopo di “appurare le cause della morte”. A quel punto però i familiari, che inizialmente non volevano che fosse eseguito l’esame autoptico, si erano rivolti ad un legale ed avevano presentato l’esposto ai carabinieri.
I problemi per Rosa Pera Moraglio erano iniziati il 27 gennaio 2009 quando la paziente si era presentata al Pronto soccorso del nosocomio cairese per “sanguinamenti dal retto e un grave deperimento organico”. Dagli esami clinici era emerso appunto che l’emorragia era dovuta agli anticoagulanti che la donna assumeva da diversi giorni. I sanitari inoltre, eseguendo una tac, avevano riscontrato che era presente una cisti al rene sinistro per cui, dopo averne parlato con la paziente, si era deciso di intervenire chirurgicamente. Lunedì 2 febbraio la signora Moraglio era stata sottoposta ad una laparoscopia che però, secondo la versione dei sanitari, a causa della dimensione della cisti, li aveva costretti ad effettuare quella che nel gergo medico viene definita un’”apertura di servizio”, un taglio. Dopo l’intervento la pensionata era stata trasferita in reparto dove il decorso post operatorio sembrava trascorrere senza complicazioni. All’alba però la tragedia: il cuore della donna improvvisamente aveva smesso di battere e lei era passata dal sonno alla morte.
Secondo la difesa del medico, l’avvocato Elena Castagneto, non ci sarebbe un nesso di causalità tra l’intervento ed il decesso che è stato provocato da un infarto al miocardio. “Questa tesi – spiega il legale del primario – è supportata anche dalla perizia richiesta dal pubblico ministero. Nella relazione si parla solo di una possibilità che l’intervento portasse ad un peggioramento delle condizioni cliniche, ma nessun nesso causale”.
Diversa l’opinione dell’avvocato di parte civile Massimo Badella: “Aldilà della possibile relazione tra intervento e decesso che, a nostro giudizio, è presente, riteniamo che la paziente sia stata sottoposta ad un’operazione non necessaria. La rimozione della cisti infatti non serviva perché la sua presenza non era pericolosa per la donna e per questo riteniamo che il medico abbia sottoposto la paziente ad un intervento rischioso, ma soprattutto non necessario”.
Proprio a proposito dei rischi che comportava l’operazione tutti i parenti della donna ascoltati nelle precedenti udienze davanti al giudice hanno ricordato: “Lei era tranquilla perché i medici le avevano assicurato che quello era un intervento di routine che non comportava rischi”.