La Liguria è in prima linea nella lotta contro il tumore del seno e fa il punto sulle innovazioni nel suo trattamento nel Workshop Gene profile news che inaugura il Congresso Back from San Antonio, in corso fino a domani a Genova. È ancora elevato il numero di donne che ne sono affette: 40 mila in Italia, con alte percentuali anche regionali.
Ogni anno 1.200 nuovi casi in tutta la Liguria. Di queste, il 10% (circa 100 su 1000) sono di difficile indicazione terapeutica e pongono il clinico di fronte al dilemma se somministrare la sola terapia ormonale o combinata a una chemioterapia adiuvante. Per risolvere questo delicato nodo, oggi la ricerca offre una risposta efficiente ed efficace: un test genomico “personalizzato” sul tumore che, studiando l’attività biologica di geni specifici, la loro interazione e funzionalità, è in grado di identificare quelli a bassa probabilità di dare recidive, e dunque trattabili con la sola terapia ormonale, con il risparmio di inutile chemioterapia e dei correlati effetti collaterali laddove non necessaria. Effettuabile in qualsiasi momento su un campione di tessuto tumorale prelevato durante l’intervento chirurgico originale (asportazione del nodulo, mastectomia, biopsia mammaria), il test genomico è indicato in caso di tumori in stadio precoce con recettori positivi per l’estrogeno (ER+) o per il progesterone (PgR+) e linfonodi negativi.
Il test va effettuato prima di qualsiasi trattamento post-operatorio: ha, infatti, la potenzialità di poter rivoluzionare sia l’approccio terapeutico, aiutando non solo a scegliere la chemioterapia più adeguata ma anche quelle donne che probabilisticamente ne avranno maggiore beneficio riducendo, per loro, il rischio di recidive (attraverso la determinazione di un punteggio) nell’arco di pochi anni dalla prima diagnosi. Sono oggi disponibili diversi test genomici ma, fra questi, alcuni hanno vantaggi maggiori rispetto ad altri perché effettuati sul paraffinato che assicura ripetibilità assoluta e uniformità del risultato, con risultati ottenibili in tempi irrisori: poco più di una settimana (10 giorni al massimo). Di questo e di altro parleranno, oggi, alcuni fra i maggiori esperti del tumore del seno, in un incontro dedicato ai clinici.
“Il tumore del seno costituisce il 30% di tutte le neoplasie femminili – spiega Paolo Pronzato, direttore della Divisone di Oncologia Medica A dell’Istituto Nazionale Tumori di Genova – rappresentando la neoplasia più frequentemente diagnosticata tra le donne sia nella fascia d’età 0-49 anni (41%), sia nella classe d’età 50-69 anni (35%), sia in quella più anziana di oltre 70 anni (21%), con 40 mila nuovi casi ogni anno di cui oltre 1.200 In Liguria e circa 400 solo a Genova. Pur con numeri ancora così elevati, l’aspetto positivo è che sono in costante aumento i casi di tumori scoperti in fase iniziale, grazie agli strumenti di diagnosi precoce. Condizione, questa, che consente un approccio chirurgico conservativo, seguito da una terapia complementare postoperatoria (la cosiddetta terapia adiuvante), utile a ridurre il rischio di recidive la quale, a seconda dei casi, può essere di tipo ormonale o chemioterapico”.
Uno dei problemi principali, nei casi di difficile diagnosi (tumori allo stadio iniziale, positivi ai recettori ormonali estrogenici o progestinici, senza interessamento dei linfonodi ascellari) rimane la scelta terapeutica. In assenza di un test genomico che permetta di predire l’utilità della chemioterapia, la decisione spetta all’attitudine e all’impressione del medico sulla base di parametri tradizionali non del tutto affidabili, con il rischio di un sovra o sottotrattamento.
“Risulta dimostrato – continua Pronzato – che, nel contesto della popolazione di donne con un tumore con queste caratteristiche, e dunque candidabili a un trattamento chemioterapico, questo specifico test diagnostico permette di selezionare in maniera accurata coloro che potrebbero trarre un reale beneficio da una chemioterapia, evitandone il ricorso nei casi in cui essa rappresenterebbe soltanto un danno in termini di peggioramento di qualità di vita o, al contrario, di trascurarne l’impiego laddove sarebbe necessaria”.
“I vantaggi che un test genomico apporta nei casi dubbi, quantificabili all’incirca nel 30% della totalità – aggiunge Giorgio Mustacchi, docente di oncologia Medica presso l’Università di Trieste – sono moltissimi. Lo studio effettuato su geni specifici di ogni singolo tumore permette non solo di identificare la terapia più adeguata alla natura molecolare della malattia, ma anche di discriminare le pazienti a rischio basso, intermedio e alto, non dividendole solo in tre gruppi “qualitativi” ma assegnando a ogni singolo caso un proprio “punteggio di rischio”.
“Dunque il ruolo dell’anatomo-patologo, specialista in patologia mammaria – dichiara Mauro Truini, direttore della Struttura di Anatomia, Istologia e Citologia Patologica dell’Irccs San Martino-Ist di Genova e presidente eletto della Società Italiana di Anatomia Patologica e di Citopatologia diagnostica, Divisione Italiana della Iap – diviene fondamentale nei confronti dell’oncologo a cui deve fornire informazioni di assoluta certezza e tali da consentire scelte terapeutiche le più appropriate alla natura del tumore. Ma, in maniera indiretta, lo è anche per la paziente la quale può avere la certezza di disporre di una opzione più valida, perché basata sull’evidenza scientifica, per accettare gli effetti collaterali e tossici derivati da una eventuale chemioterapia”.