La situazione industriale della valle Bormida è sempre più la rappresentazione di uno scenario desolato e desolante.
Oramai non si contano più le aziende che progressivamente hanno chiuso o hanno ridotto pesatamente gli organici. Una delle aree regionali più importanti dal punto di vista industriale sta attraversando una crisi nerissima, rimangono sparsi sul territorio i cocci velenosi di un industria che ha considerato l’ambiente e le persone alla stregua di inevitabili danni collaterali della guerra nel nome del profitto.
Ad un elenco già lungo si aggiunge ora la Cabur di Altare, che ha annunciato pochi giorni fa di voler licenziare 33 dipendenti su un totale di 107, oltre il 30% della forza lavoro, tra cui molti operai altamente specializzati.
Ora tutto ciò sarebbe già grave ma lo è ancor di più se si considera che nel 2006 l’azienda ha usufruito di contributi pubblici superiori ai 2.000.000 di euro per spostare la produzione dalla sede storica di Albisola proprio nel sito di Altare.
Rischia di ripetersi per l’ennesima volta una storia già vista: gli imprenditori prima prendono soldi pubblici sventolando il ricatto occupazionale dopodiché li usano per produrre in zone del mondo meno costose e incrementare quindi i profitti per la proprietà e gli azionisti, infine assolti gli obblighi minimi chiudono e lasciano sulle spalle dei dipendenti e della collettività i costi economici e sociali della loro cupidigia.
Perciò chiediamo che nell’incontro di martedì in regione vengano innanzitutto tutelate le giuste aspettative dei lavoratori e venga chiesto al management, nella tutela dei diritti di tutti i cittadini, conto dell’utilizzo dei contributi pubblici
A questo punto se c’è qualcuno che deve andare via bisogna ricercarlo tra chi ha gestito malamente l’azienda e non tra chi ha dato il proprio prezioso contributo lavorando seriamente.
SEL Federazione di Savona