Beigua. Si sono riaccesi i riflettori sul tesoro minerario che giace intoccato sul Bric Tarinè, nel complesso del parco naturale del Beigua. Le parole del sindaco albisolese Franco Orsi riportate ieri da IVG.it hanno infiammato la discussione tra chi si schiera per la tutela ambientale e chi invece invita allo sfruttamento del più grande serbatoio di titanio del mondo. Un patrimonio da 400 miliardi di euro. Soltanto la concessione per l’estrazione porterebbe nelle casse della Regione Liguria centinaia di milioni di euro per almeno cinque anni. Ma è appetibile soprattutto per le multinazionali specializzate. Le cifre da capogiro collocano l’affare tra i primi 50 top business del settore estrattivo nel pianeta (Morgan Stanley è solo una delle agenzie internazionali che si è occupata del caso).
Il sindaco di Albisola Superiore, Franco Orsi, si sta rioccupando dell’argomento. Da assessore regionale all’ambiente nel 2000 si oppose alle ipotesi di sfruttamento del Tarinè, che infatti vene inserito nel parco del Beigua e che divenne un Sic. Oggi, però, Orsi è combattuto: “Mi domando se feci bene a fare quella battaglia, ma non mi dispiace affatto, nonostante i miei dubbi, che ci sia gente che dica che facemmo bene a ostacolare la miniera 13 anni fa”.
“Provo sinceramente un po’ di invidia per coloro che su questioni così rilevanti che hanno effetti cosí discordanti riescono ad avere subito una opinione chiara su cosa è bene e cosa è male e soprattutto su cosa sia meglio per il nostro territorio e la nostra regione – osserva il primo cittadino albisolese – Come ho già detto tante volte quando io avevo l’età che oggi hanno i miei figli vivevo in una Provincia che attraeva con le sue fabbriche persone da fuori e nella quale c’erano certezze sul futuro. Quando mi sono diplomato, ricordo di aver ricevuto a casa due proposte di lavoro e non è stato facile decidere di continuare gli studi davanti a prospettive e opportunità immediate”.
“Oggi – prosegue – Agrimont, Acna, Ilva-Italsider, Fiat di Porto Vado, Enel, Metalmetron, 3M (e potrei citarne molte altre) non ci sono più; se è pur vero che ci siamo liberati di molte aziende problematiche ed inquinanti ho molta preoccupazione anche per i nostri figli e per la possibilità che avranno di vivere con la famiglia che si faranno, ammesso che riusciranno a farsela. Per questo sono sempre combattuto quando vengono posti sul ‘piatto’ progetti di rilevanza economica in questo nostro mondo nel quale non c’è lavoro”.
Come all’epoca delle proposte estrattive avanzate da organizzazioni quali Cet o Du Pont, naufragate, anche oggi gli ambientalisti sono pronti a dar battaglia. Ovviamente nel parco naturale le attività estrattive sono vietate dalle diverse norme nazionali e regionali in materia paesaggistica e ambientale. Ma sembra essere tornato l’interesse di alcune grosse società a richiedere l’autorizzazione per l’esplorazione della zona di Piampaludo, che riserverebbe ben 40 milioni di tonnellate di rutilio, la forma mineralogica del titanio, del quale – come è noto – l’industria moderna è sempre ghiotta.
Anche un’eventuale esplorazione comporterebbe un processo lungo, per non parlare della concessione estrattiva vera e propria che comprenderebbe l’analisi di tutta la catena produttiva che va dall’estrazione al trasporto. Una pratica di grande complessità, dunque. La discussione rimane aperta, proprio per l’enorme valore economico del patrimonio minerario savonese.