Pietra L. Era stato accusato di essere il rapinatore che, la sera del 18 dicembre del 2007, a Pietra Ligure, era entrato nell’appartamento di una coppia con l’intento di rubare. Oggi, a distanza di oltre cinque anni, un marocchino di 36 anni, M.K., è stata assolto nonostante ad “incastrarlo” ci fosse anche una perizia del Ris di Parma.
Questi i fatti: quella sera i due conviventi stava guardando la tv quando, dopo aver sentito un tonfo, avevano notato che qualcuno era riuscito ad introdursi nel loro appartamento. Grazie all’intervento del padrone di casa il rapinatore, che aveva già messo le mani sulla borsetta della donna, era stato messo in fuga. Prima di scappare aveva anche ferito al volto con un oggetto a punto l’uomo che aveva anche cercato di inseguirlo. Nella fuga il rapinatore, oltre che abbandonare la borsa, aveva perso un berretto di lana. Proprio dal cappello i carabinieri del Ris avevano estratto un profilo genetico che ha messo nei guai M.K. La sera della rapina infatti i militari avevano fermato il nordafricano nei pressi del palazzo della coppia e, visto che corrispondeva alla descrizione del malvivente, lo avevano accompagnato in caserma per accertamenti.
Il marocchino era stato, di fatto, subito scagionato dalle vittime dell’aggressione che, vedendolo in caserma, avevano escluso che fosse l’autore della rapina. “Assomiglia molto a quell’uomo, ma ha i baffi diversi ed è più basso” avevano spiegato gli inquilini dell’appartamento. Nonostante la testimonianza fosse favorevole al marocchino, regolare in Italia e di professione bracciante agricolo, i carabinieri hanno preferito inviare al Ris, oltre che il cappello, anche un bicchiere di plastica utilizzato da M.K. per bere per fare un confronto sui DNA. Un esame che ha dato esito positivo: le tracce organiche trovate sul cappello e sul bicchiere erano infatti compatibili al 100%.
Il nordafricano, difeso dall’avvocato Luca Battaglieri, ha sempre negato di essere l’autore della rapina. M.K. su quel berretto di lana aveva poi spiegato che effettivamente era il suo, ma l’aveva prestato al fratello. Da quel momento non l’aveva più avuto indietro e poteva essere finito nelle mani di chiunque. Ecco spiegato perché – questa almeno la tesi difensiva – sul cappello c’era il DNA del sospettato pur essenso lui estraneo alla rapina. Una tesi che, evidentemente, deve aver convinto il giudice che, anche sulla base della testimonianza delle vittime dell’aggressione, ha assolto il marocchino.