India. Una condanna all’ergastolo in primo grado, due richieste di libertà su cauzione respinte, e, infine, un processo d’appello con una pronuncia che getta nello sconforto totale chi segue instancabilmente Tomaso ed Elisabetta. Oggi alle 16 ora indiana i giudici hanno rigettato il ricorso in appello.
“Non faremo commenti né rilasceremo dichiarazioni o interviste prima di aver incontrato l’ambasciatore Giacomo San Felice e gli avvocati dello Studio Titus a Delhi” affermano i genitori di Tomaso, Luigi Bruno e Marina Maurizio.
“Domani andrò in carcere con l’avvocato Vibhu Shankar a dare la notizia ai ragazzi e domenica raggiungerò New Delhi, dove arriverà anche mio marito, allo scopo di fissare una serie di incontri per concordare la strategia da seguire” riferisce Marina Maurizio.
“Tomaso ed Elisabetta – aggiunge – sono innocenti ed è loro intenzione iniziare uno sciopero della fame e della sete per protestare contro le nostre istituzioni per la mancata tutela di due cittadini italiani ingiustamente condannati senza prove e senza movente e da oltre due anni e mezzo detenuti nel District Jail di Varanasi”.
I due giovani italiani, albenganese lui e torinese lei, sono stati proiettati nella voragine giudiziaria per la morte dell’amico e compagno di viaggio Francesco Montis in una camera d’albergo della città indiana di Varanasi.
Secondo i giudici indiani sono loro ad essere responsabili per il decesso del ragazzo sardo morto in una disperata corsa all’ospedale dopo aver smesso di respirare. Il processo d’appello, che aveva fatto ben sperare vista la velocità con la quale si erano susseguite le udienze, e vista la determinazione con la quale gli avvocati della difesa avevano contestato prove e teorie che erano valse un ergastolo in primo grado, si è risolto in un nuovo incubo per i due giovani.
I legali hanno cercato in tutti i modi di sottolineare le anomalie di un procedimento singhiozzante e contradditorio: dall’autopsia svolta non da un medico ad hoc bensì da un oculista (non solo: sul corpo di Francesco sarebbero stati trovati anche morsi di animali, probabilmente topi, segno che le condizioni igieniche dell’obitorio di Varanasi erano pessime) ad un movente che, secondo la difesa, non reggerebbe (la tesi del triangolo amoroso che avrebbe portato i due ipotetici amanti a sbarazzarsi del ‘terzo incomomo’ sarebbe supportata solo dal fatto che i tre condividevano la stessa camera d’albergo, cosa che in un Paese come l’India non è vista di buon occhio) fino a una sentenza di condanna in primo grado che, a pagina 73 del documento, dice che “il movente che ha spinto i due accusati ad uccidere Montis non si può dimostrare per insufficienza di prove” per poi continuare, in modo contraddittorio, con “tuttavia si può comunque ipotizzare che Tomaso ed Elisabetta avessero una relazione intima illecita”.
Niente. Il pronunciamento in appello è arrivato come una mannaia capace di tagliare le gambe alle speranze di amici e familiari che, in questi anni, tramite il movimento “Alziamo la voce” avevano tentato di sensibilizzare governo e istituzioni affinché prendessero a cuore la vicenda e la sorte dei due ragazzi. Ma invano.





