“In una manovra che nel prossimo anno sarà di 25,7 miliardi di euro l’incidenza del taglio alla democrazia nei piccoli Comuni sarebbe solo dello 0,023%”. E’ quanto osserva l’Associazione nazionale dei Piccoli comuni italiani (Anpci), in un documento diffuso oggi, per ribadire ancora una volta il “no” all’accorpamento dei Comuni sotto ai mille abitanti, previsto dalla manovra.
Con questa analisi, “inviata anche a esponenti dei partiti in Parlamento, di maggioranza e opposizione, e ad alcuni ministri tra cui quello della Semplificazione, Roberto Calderoli, e dell’Interno, Roberto Maroni”, gli amministratori comunali dei 1.963 enti a rischio (il 71,2% sono Comuni montani) scenderanno in piazza, davanti a Montecitorio, venerdì alle 14. Stimando i risparmi che deriverebbero da questo accorpamento, l’Anpci ricorda che nella “migliore delle ipotesi” lo Stato risparmierebbe circa 11,6 milioni di euro, meno del costo annuo di 27 deputati.
Ma in realtà, “visto che oltre il 50% degli amministratori dei piccoli Comuni rinunciano alle loro indennità, il risparmio reale ammonterebbe a 5,8 milioni di euro, meno del costo annuo di 13,5 deputati”. Le poltrone a saltare, infatti, sarebbero “17.667 e non 50 mila come dichiarato dal premier Silvio Berlusconi durante la conferenza stampa del 12 agosto”.
L’Anpci, quindi, non ci sta: “Si ammazza la democrazia e chiudono i Comuni senza conoscere quali siano i risparmi conseguenti: è gravissimo”. In generale, ribadisce infine l’associazione, “la spesa corrente totale, compresa la spesa per il rimborso prestiti, dei piccoli Comuni ammonta a poco più di 1 milione di euro, per una spesa per abitante di 2,85 euro al giorno per tutti i servizi erogati; la spesa per il personale è invece di 359 mila euro (con un rapporto dipendenti/popolazione di 1 dipendente ogni 120 abitanti) e la spesa corrente residua di 622 mila euro”.