Cronaca

Dal carcere di Sanremo, l'”arringa difensiva” di don Luciano Massaferro

Sanremo. Quella scritta il 25 luglio è forse la prima lettera in cui traspare amarezza mista a rabbia nelle parole scritte da don Luciano Massaferro ai suoi parrocchiani.

Una missiva che arriva sei giorni dopo l’udienza in cui il sacerdote alassino accusato di pedofilia si è presentato a sorpresa in aula per fornire dichiarazioni spontanee, con la speranza di fare chiarezza su una vicenda per molti versi ancora oscura. Alla fine del dibattimento, i suoi legali avevano perfino presentato l’ennesima istanza di scarcerazione ma, ancora una volta, hanno finito per incassare un “no”.

“Ormai sono abituato al ‘rigetto'”, scrive don Luciano che, dal carcere di Sanremo, ricorda la sua giornata in tribunale. “Mi sono ritrovato in un’aula priva di emozioni, passioni, ove tutto viaggiava su binari prestabiliti, norme giuridiche, comportamenti codificati. Non sapevo se dire una parola ai miei avvocati opure stare in silenzio, se guardare i signori giudici o i testimoni. Vi assicuro che ricorderò a lungo quel giorno”.

“Dallo scorso 29 dicembre 2009, giorno del mio arresto, continuo ad attendere una sola prova a mio carico che sia degna di tale nome, ma so bene che non potrà essere presentata per il semplice motivo che non esiste”, continua il parroco che parla di una custodia cautelare – la sua – che “ha il sapore di un’espiazione della pena”, di una volontà persecutoria pur in assenza di elementi di colpevolezza oggettivi: “La perizia psichiatrica cui sono stato sottoposto non ha rilevato alcuna turba o devianza, non è stato trovato alcun materiale a sfondo sessuale, o comunque illecito, nel mio computer” eppure, dice ancora “don Lu”, questa “vicenda umiliante” non ha ancora una fine.

La vicenda che l’imputato definisce “umiliante” e “paradossale” e dalla quale deve difendersi è quella che lo vede sospettato di aver abusato di una ragazzina di 11 anni, sua parrocchiana. “Dopo 209 giorni di attesa – scrive don Luciano – e aver ascoltato la quasi totalità dei testi indicati dal signor pubblico ministero, nulla è mutato a mio discapito, anzi è successo il contrario. Chi era chiamato ad accusare, procedeva ad assolvere; ciò che doveva inchiodare, di fatto scagionava”. Il sacerdote alassino non sa spiegarsi questo “accanimento” ma si dice convinto che “questa gravissima diffamazione renderà ancora più bello il ritorno a casa”.

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