Centro Tutela Malato: “Basta con l’inglese in ospedale”

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[thumb:2299:l]Pietra Ligure. Basta con l’inglese medichese. E’ l’appello del responsabile del Centro Tutela per i Diritti del Malato dell’ospedale Santa Corona, Guido Viglietti, che evidenzia le difficoltà incontrate da numerosi pazienti e soprattutto da sottoscrittori di consensi informati nel labirinto della terminologia medica, infarcita di vocaboli esteri.

Viglietti chiede più semplicità nel linguaggio del mondo sanitario e ritiene che l’aderenza alle regole dell’Accademia della Crusca non sarebbe pedanteria, ma una forma di aiuto agli utenti: “Sono anni che mi batto contro l’invasione dei termini stranieri negli ospedali, segno di una conclamata sudditanza alla lingua inglese. Da nove anni ormai faccio parte del Comitato Etico del Santa Corona ed ho esaminato quanto avviene, a scapito dei pazienti, con il lessico. I documenti del consenso informato per le sperimentazioni cliniche sono illeggibili senza una conoscenza tecnica dell’inglese e questo è un fatto grave, perché chi firma deve capire pienamente cosa andrà ad affrontare”.

“Che un cittadino si sottoponga ad una sperimentazione o ad un’operazione chirurgica, la sostanza non cambia: già di per sé in soggezione di fronte ai camici bianchi, ha diritto di essere informato nella propria lingua e non può essere trattato dando per scontato che sia poliglotta. Di questo ho già più volte parlato in covegni medici” osserva Viglietti.

“L’inglese ha da tempo colonizzato la terminologia medico-ospedaliera – aggiunge – ‘Le sarà fatto uno screening poi il follow up’ oppure ‘Avrà un leggero rush cutaneo’: quanta parte di popolazione è in grado di capire al volo queste frasi? Una buona parte rimarrà sgomenta o preoccupata a primo acchito. Ricordo di un conoscente che cercava di spiegare per telefono e in dialetto alla madre, che voleva raggiungerlo in ospedale, di essere ricoverato in Day Surgery, con effetti grotteschi”.

Per veicolare meglio il concetto, il referente del Centro Tutela per i Diritti del Malato cita un aneddoto: “Un viaggiatore dell’Ottocento fu trovato agonizzante dalle parti del Gran San Bernardo. Trasferito in un ricovero italiano, fu scambiato per un povero vagabondo e i medici decisero di usarlo per sperimentazioni. ‘Facciamo esperimenti su una persona di scarso valore’ dissero in latino alla sua presenza, pensando di non essere compresi. Il viaggiatore, invece, uomo colto, capì immediatamente il significato e fuggì. Questo per dire che non si può utilizzare il linguaggio medico come un codice quando si ha a che fare con persone che non ne comprendono il significato, perché si costringerebbe loro a fare cose non perfettamente volute”.

“I documenti di consenso informato sono regolarmente pieni di termini inglesi. Noi del Comitato Etico procediamo unanimemente così: quando le case farmaceutiche ci mandano il loro foglio da sottoporre ai pazienti per una eventuale sperimentazione clinica, mettiamo delle righe sulle espressioni inglesi e appuntiamo l’equivalente italiano, quindi rispediamo indietro il documento perché ci venga restituito solo dopo essere stato corretto. Perché i pazienti non abbiano a che fare con scritti zeppi di forestierismi o con medici anglofoni – conclude Guido Viglietti – proseguiremo la nostra battaglia”.