[thumb:13406:l]Albenga. “Perdere la clinica San Michele sarebbe un delitto, perché vorrebbe dire buttare al macero anni di cultura sanitaria di eccellenza, che non si potrebbe recuperare certamente passando le sue funzioni all’ospedale pubblico”. E’ l’opinione di Marco Bertolotto, ex presidente della Provincia di Savona e direttore dell’Unità di Terapia del Dolore e Cure Palliative dell’ospedale Santa Corona di Pietra Ligure.
Per la casa di cura albenganese si è aperta una via d’uscita alla crisi: la società di gestione Health Care Italia sta valutando la “rimodulazione” delle convenzioni pubbliche offerta nei giorni scorsi da Asl 2 e Regione. Le istituzioni pubbliche hanno proposto convenzioni per tre milioni e mezzo di euro; nel piano industriale i gestori ne chiedevano un milione in più.
“Ho lavorato sia in ospedali publici che privati – osserva Bertolotto – La differenza la fanno le persone e i modelli organizzativi. Il pubblico ha, a suo discapito, una eccessiva sindacalizzazione e una burocratizzazione esasperata. Da cittadino avessi bisogno di cure, sceglierei l’ospedale che mi curerebbe meglio, senza badare alla sua natura giuridica pubblica o privata che fosse. Per cui ben vengano gli ospedali privati e convenzionati, che possono coesistere e collaborare col pubblico per fornire il miglior livello di assistenza sanitaria al minor costo sociale possibile”.
“Sono molte le funzioni che la San Michele potrebbe svolgere: la riabilitazione, la chirurgia protesica, l’attività saniatria intramoenia, l’hospice” aggiunge Marco Bertolotto. Il medico ex presidente di Palazzo Nervi insiste sulla possibilità di implementare un servizio per pazienti affetti da malattie progressive in fase avanzata e prognosi infausta, che necessitano di cure palliative, e che verrebbero aiutati a vivere con dignità gli ultimi giorni di vita.
“A proposito dell’hospice – precisa Bertolotto – si può sottolineare che l’attuale gestore della San Michele gestisce il più grande hospice di Roma, e con l’hospice alla San Michele potrebbe arrivare finalmente sul nostro territorio una cultura sanitaria volta al malato terminale, che oggi manca totalmente”.