[thumb:11136:l]Savona. Più che l’efficienza della giustizia, alla classe politica italiana stanno a cuore il blocco delle intercettazioni telefoniche e la non obbligatorietà dell’azione penale. E’ l’opinione di Bruno Tinti, a Savona per presentare il suo ultimo libro: “La questione immorale”. Dopo il successo di “Toghe rotte”, l’ex magistrato torinese ritorna con un nuovo saggio sul sistema giudiziario per raccontare per quale motivo i politici si occupano di limitare l’azione della magistratura.
Tinti, che ha presentato il libro alla libreria Ubik, è convinto che le attuali riforme assicurino alla politica il potere di controllare i giudici e garantiscano l’impunità. L’ex magistrato descrive il piano per mettere i pubblici ministeri alle dipendenze del potere politico, quello per togliere il controllo della polizia giudiziaria e come, per motivi di sicurezza, il governo possa intercettare migliaia di cittadini.
L’autore, inoltre, che in passato ha collaborato anche con qualche ministro contribuendo a scrivere la legge che punisce i reati tributari, racconta nel volume come, per esempio, il Parlamento (tutti d’accordo, senza distinzione tra maggioranza e opposizione) gliel’abbia cambiata, facendo così uscire “l’ennesima legge fatta per non funzionare”.
“Le riforme proposte ed attuate dal potere politico sono dannose – spiega senza mezzi termini Bruno Tinti a IVG.it – Queste norme non tendono a razionalizzare il processo penale, ma a trasformarlo in un sistema meno efficace, rendendo più difficile scoprire e perseguire i reati commessi dalla classe dirigente. La mancanza delle intecettazioni telefoniche renderà impossibili le indagini, al di là di quelle più semplici e banali. Inchieste in materia di corruzione, frode fiscale, sequestro di persona, insomma tutte quelle attività di accertamento che sono state svolte sinora non saranno più realizzabili”.
Una ricetta semplice per riformare la macchina della giustizia non c’è. “Bisogna riprogettare il sistema – afferma Tinti – Non bastano correttivi o integrazioni occasionali. Occorre una ristrutturazione radicale che privilegi la razionalità, abbandoni le cosiddette finte garanzie e non vada incontro agli interessi delle lobby, che sono di molteplice natura, dagli evasori fiscali ai politici ai grandi dirigenti. Ma anche gli stessi magistrati hanno in alcuni casi interesse perché permanga lo status quo, per non essere costretti ad alterare le modalità del proprio lavoro”.
L’ex procuratore aggiunto torinese aggiunge: “Occorre mettere il cittadino al centro della giustizia, riprogrammando l’intero settore al servizio del fruitore, che deve tornare ad essere vero protagonista”. Una rivoluzione copernicana entro la quale ha un ruolo anche la funzione dell’informazione? “Il ruolo dei giornalisti è fondamentale, come è dimostrato da tutti gli altri Paesi del mondo libero occidentale. E’ l’informazione che gestisce un controllo critico sull’amministrazione della giustizia. Quanto più l’apparato giudiziario è snello e operativo, tanto più è necessario che venga controllato dall’esterno; l’unico controllo possibile, al di là di quello non disinteressato della politica, è quello dell’opinione pubblica che passa attraverso i mezzi di informazione. Mettere il bavaglio ai giornalisti significa voler evitare che il malaffare venga perseguito e reso noto al pubblico”.
“La questione immorale” tratta anche di informatizzazione dei tribunali. Secondo Tinti, introdurre la tecnologia nel settore giudiziario ha costi elevatissimi e – rimarca – “pensare di informatizzare il processo, come vuole il nuovo pacchetto sicurezza, sensa stanziare le risorse necessarie per farlo, è come parlare di aria fritta”. “Tuttavia – aggiunge – i magistrati italiani sono ancora refrattari all’adozione delle tecnologie e non è facile ipotizzare di farli facilmente adeguare a nuove metodiche di lavoro. I giudici lavorano tutti con la carta e i programmi per il cosiddetto processo telematico, pur allo studio da una quindicina di anni, non sono mai stati perfezionati. A parte qualche tribunale civile dove hanno cominciato a lavorare i decreti ingiuntivi per via telematica, la vita del processo, tra avvisi, udienze, convocazioni e perizie, rimane cartacea”.